In un Paese che ha perso da anni persino una parvenza di sovranità nazionale bisogna essere grandi ipocriti per stupirsi dell’intervento a gamba tesa dell’ambasciatore Usa sul referendum. Washington ci dice quello che dobbiamo o non dobbiamo fare esattamente quanto Berlino, Bruxelles o la Banca centrale europea. Persino i mercati finanziari, manovrati chissà da chi e chissà in quali parti del mondo, hanno fatto il bello e il cattivo tempo deponendo a colpi di spread un Premier democraticamente eletto per imporre a Palazzo Chigi più di un inquilino scelto in qualche gioco di potere.
Abbiamo una politica debole, un’economia debolissima e un senso dello Stato che fa ridere, tranne quando gioca la Nazionale ovviamente. Una situazione nella quale ci siamo inoltrati con la svendita di prerogative fondamentali, a partire da un minimo di controllo della moneta o della possibilità di investire risorse pubbliche per salvare le nuove generazioni da condizioni economiche e sociali che diventeranno durissime non certo per loro colpa. Perciò l’ingerenza dell’ambasciatore Usa è deprecabile, ma tornare a essere Nazione è tutta un’altra cosa.