Opss… l’hanno fatto di nuovo. I grandi finanzieri che possono vendere i nostri titoli di Stato per miliardi hanno ricominciato a bastonarci con lo spread. Un film già visto nel 2011, quando i mercati proprio con questo espediente licenziarono l’ultimo Governo Berlusconi, consegnandoci attraverso il presidente Napolitano al salasso del successivo premier Mario Monti. In quella stagione la dittatura dello spread vinse sulla democrazia, complice una politica che da destra a sinistra chinò il capo. Oggi la situazione non è tanto diversa. Il debito pubblico italiano è rimasto talmente imponente da renderci ostaggio di chi può farci pagare molti più interessi vendendo a rotta di collo i nostri Btp. Signori che vogliono commissariare di fatto chi governerà il Paese. Un gioco inaccettabile, comunque la si pensi su Salvini e Di Maio. Il rispetto degli impegni presi in Europa e sulle piazze finanziarie, dove in passato abbiamo preso soldi in prestito anche per vivere al di sopra delle nostre possibilità, non può cancellare il rispetto più cogente per la Costituzione e l’obbligo di tutelare la sovranità e la democrazia nella Nazione. Certo, in questa fase i leader dovrebbero tranquillizzare i mercati, e non provocarli facendo trapelare bozze con decurtazioni sommarie dei crediti ottenuti. Ma la violenza con cui ieri le piazze finanziarie ci hanno minacciato, in altri contesti potrebbe essere paragonata a una dichiarazione di guerra. E in guerra uno Stato risponde congelando le liti di bottega tra partiti e insediando subito un Governo con cui farsi rispettare.
L'Editoriale
Un Paese ostaggio dei mercati
Un Paese ostaggio dei mercati