Due o tre cose che emergono chiare dalla passerella di ieri sulle riforme. Le destre sono più divise delle opposizioni, ma quello che si vede è solo il Pd, i 5 Stelle e il sedicente terzo polo che vanno ognuno per conto suo. Sulla stampa di regime e dei soliti padroni la Meloni passa per statista e donna del dialogo, mentre in realtà si è già apparecchiata presidenzialismo, premierato e dittatura – tutti insieme – commissariando il Parlamento col record dei voti di fiducia.
Perché allora questa accelerazione su una materia che interessa meno di zero ai malati senza cure negli ospedali, ai pensionati che fanno la fame e a milioni di famiglie che non arrivano a fine mese? La risposta è fin troppo evidente: con le ricette delle destre non c’è speranza di risolvere i problemi, e allora serve un circo che attiri altrove l’attenzione.
Così ci sarà chi continuerà a credere che Giorgia e i suoi alleati erano pronti a governare, quando in realtà non sanno che pesci prendere neppure per nominare il comandante generale della Guardia di Finanza. Ruolo che per la prima volta nella storia è affidato a un reggente, in attesa che i partiti si mettano d’accordo pure su questa poltrona.
Chi paga un prezzo altissimo per tutto questo è il Paese, che delle riforme ha bisogno davvero, ma che col metodo Meloni rischia di non vedere nulla, o peggio, di farsi portare via pezzi di democrazia. Un sogno che hanno avuto in tanti – Renzi è stato l’ultimo – ma che alla prova del consenso non porta bene senza un percorso limpido e largamente condiviso.