L'Editoriale

Una lezione francese a Beppe Sala

Così vicina a Milano, eppure così lontana, la Francia insegna poco alla politica italiana.

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Così vicina a Milano, eppure così lontana, la Francia insegna poco alla politica italiana. Il post ideologico Macron fa il pieno dei consensi, la destra della Le Pen mimetizzata dietro parole d’ordine meno aggressive segue, e a sinistra c’è un’immensa prateria.

Qui invece chi è andato oltre i partiti tradizionali – i Cinque Stelle – paga un sistema elettorale che li ha costretti ad alleanze kamikaze per governare; Meloni e Salvini non ce la fanno ad aprirsi a niente oltre Forza Italia (se e quando conviene), e i progressisti fanno a gara per scansare le bandiere con cui Melenchon ha preso moltissimi voti: dal no all’invio delle armi ai Paesi in guerra sino al welfare con cui dare risposte alle periferie arrabbiate e abbandonate.

Proprio Milano è emblematica in tal senso. Il sindaco Beppe Sala, come un Toti o un De Luca qualunque, cavalca il cliché già visto con le Regioni durante il Governo Conte, quando si affrontava la pandemia con risultati migliori di ogni altra parte del mondo, ma i governatori protestavano su tutto, salvo poi fare pippa quando il Covid è ripartito con Draghi e Figliuolo.

Dunque il sindaco del capoluogo lombardo alza il tiro su Palazzo Chigi, chiedendo come tutti gli enti locali più quattrini, e nel frattempo congela la spesa, rischiando di tagliare servizi e assistenza a chi è in difficoltà. Una mossa che puoi aspettarti da Renzi o Calenda, ma non da chi aspira a occupare un nuovo spazio politico popolare, solidale e ambientalista. Al punto che persino la Moratti può infilzarlo accusandolo di dimenticare i poveri. E per farsi infilzare dalla Moratti proprio su questo ce ne vuole.