Chissà per quale motivo le cosche di Corleone o dei casalesi sono sempre state considerate mafia e camorra mentre i clan altrettanto criminali della Capitale e del litorale romano invece no. Neppure la famigerata banda della Magliana, con i suoi intrecci col terrorismo e i servizi segreti deviati, è stata mai considerata pericolosa quanto cosa nostra.
Per proteggere la facciata di Roma si è preferito nascondere la polvere sotto il tappeto, facendo ai mafiosi il più gradito dei regali, tenendo bassa la pressione mediatica e frenando gli anticorpi necessari per liberarsi da un cancro che ha inondato la città di droga, ha alimentato la corruzione, i racket e l’arretramento sociale prima ancora che economico. Ieri però per la prima volta è diventata definitiva una sentenza storica, come l’ha giustamente definita la sindaca Virginia Raggi, finita sotto scorta per aver acceso un faro sul problema, in una sostanziale solitudine rispetto alle altre istituzioni locali.
Il boss di Ostia Carmine Fasciani, la moglie, due figlie e altri nipoti e affini sono parte di un’associazione a delinquere aggravata dall’uso del metodo mafioso, come afferma la Cassazione riconoscendo quello che è stato negato nel processo di mafia Capitale. Riconoscere la malattia è il primo passo per iniziarne la cura, ha detto la prima cittadina, verso la quale è stata sempre fortissima l’ostilità di un sistema cresciuto al fianco di politici compiacenti. Il cambiamento profondo di Roma passa anche da qua, dalla consapevolezza di quali nemici la città ha di fronte e non dalla connivenza che ha fatto comodo a tanti.