L'Editoriale

Undici milioni di italiani senza cure. Prima di cambiare la Costituzione, cambiamo la sanità

Le contromosse di Matteo Renzi alle urne sono nel tipico stile della vecchia politica. Nessuna mossa, invece, su servizi pubblici e sanità negata.

Le contromosse di Matteo Renzi al brutto avvertimento arrivato dalle urne sono nel tipico stile della vecchia politica. Commissariato il Pd a Napoli, probabile rimpasto della segreteria dem per recuperare un po’ di consensi a sinistra, sconfessione dell’alleanza con Verdini, derubricata a intesa parlamentare (come se i parlamentari fossero rappresentanti di se stessi e non degli elettori). Nessuna mossa, invece, su quella che oggi i cittadini sentono essere la vera politica, e cioè i servizi pubblici, l’oppressione delle tasse, la sicurezza e la sanità negata. Renzi e compagni si azzuffano con i Cinque Stelle, tirando pure questi ultimi nello sterile giochino di chi ha preso più o meno voti, e intanto la vita degli italiani resta la stessa, con i problemi che aumentano e le persone che soffrono. Ma soffrono davvero, perché undici milioni di cittadini non riescono più a curarsi. Tra liste d’attesa folli e ticket sanitari che costano più delle prestazioni cliniche, ci siamo giocati il diritto alla salute. Così si finisce per rinviare il dentista, rinunciare agli esami clinici e persino posticipare gli interventi chirurgici. Col risultato quasi sempre di aggravare le patologie.

Il premier se ne faccia una ragione, ma fin quando il Paese sarà ridotto in tali condizioni il suo consenso personale e quello dei partiti della maggioranza può solo scendere. Ne sa qualcosa il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, uscita con le ossa rotte (e qui non c’è ortopedico che tenga) dal primo turno delle amministrative. La responsabile della sanità sosteneva insieme ad Angelino Alfano una lista di appoggio al candidato sindaco di Roma Alfio Marchini. Una lista risultata pressoché fantasma, capace di prendere appena l’1% nonostante le strizzate d’occhio di grandi gruppi di pressione, come i farmacisti letteralmente “graziati” nell’ultima legge sulla competitività. “Non si possono fare le nozze con i fichi secchi”, ha detto ieri la Lorenzin per spiegare che “anche il sistema sanitario sta facendo i conti con la crisi economica che le famiglie stanno vivendo”. Una difesa d’ufficio terribilmente sbagliata nella comunicazione, visto che il Governo di cui fa parte dice in ogni occasione che la crisi è alle spalle e quest’anno avremo una crescita più rotonda dell’anno scorso.

OPSS… SIAMO IN CRISI – Ma crisi o non crisi, c’è da domandarsi cosa ha fatto la Lorenzin quando insieme alle Regioni si sono tagliati gli ultimi dieci (10!) miliardi di euro alla sanità pubblica. Il discorso dei fichi secchi in quella circostanza non s’è sentito e oggi sa di ipocrisia meravigliarsi per i dati drammatici messi insieme dal Censis. In un Paese che invecchia, che ha ospedali più simili a lazzaretti, dove è ancora ritenuto normale che i giovani medici e gli universitari siano sfruttati per due soldi mentre i signori manager incassano stipendi stratosferici (al netto delle bustarelle), la sanità è uno dei settori che in assoluto resta più al riparo da rottamazioni e significative riforme di sistema. Il taglio della spesa pubblica e l’approccio (peraltro lento) ai costi standard non possono essere le uniche leve per sollevare un mondo con il quale tutti in un modo o nell’altro abbiamo a che fare. Così il risultato di questa politica è una fatale percezione di inefficienza. Tanto che sempre secondo il Censis, per il 45% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), mentre per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. La maggioranza (il 52%) considera comunque inadeguato il servizio sanitario della propria regione (la percentuale sale al 68,9% nel Sud e al 56,1% al Centro).

TUTTO BLOCCATO – Gli italiani insomma non sono contenti e in una situazione del genere è normale che non vadano a votare o, se ci vanno, puniscano i partiti di Governo, troppo presi dalla gestione del potere e persino dalle beghe elettorali per accorgersi che fenomeni come i Cinque Stelle non sono la causa ma l’effetto di un malessere generalizzato. Con una differenza sostanziale rispetto al passato: oggi, proprio nell’epoca in cui si vendono meno i giornali, grazie al web i cittadini sono enormemente più informati. Una conoscenza che permette di capire bene come la sanità sia più che mai terreno di scambio tra politica e affari. Liste d’attesa e ospedali lazzaretti hanno una sola conseguenza: la fuga di chi può verso il privato – dove infatti alla faccia della crisi aumenta il volume d’affari – per la gioia di gruppi come Angelucci (non a caso legato a doppio filo a Verdini) così come De Benedetti (editore di Repubblica, ormai una sorta di Pravda renziana), Rotelli (azionisti del Corsera) e tanti altri imprenditori fin troppo collegati alla politica. Una politica che – vista così – è più facile capire perchè sulla sanità faccia pochissimo mentre tutto va a rotoli.