In Italia chi tocca certi fili muore. Ma se ci si arrotola nei cavi dell’alta tensione allora vuol dire andarsela proprio a cercare. Così nell’ennesimo remake della guerra dei mondi tra politica e magistratura, il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini aveva cercato una mediazione. Roba da scoraggiare il Kissinger degli anni migliori. Eppure bastava vedere che fine hanno fatto tutti quelli che in questo Paese hanno osato non assecondare la magistratura, se non addirittura riformarla, andando da Craxi a Berlusconi fino a Mastella. Preciso come un orologio svizzero è arrivato l’avviso di garanzia a un ex consulente di Legnini, con l’aggravante delle accuse di favoreggiamento alla camorra. A quanto si riesce a sapere per il momento, le prove degli inquirenti non sono solidissime, ma non c’è dubbio che soprattutto al Sud il rapporto tra criminalità e politica esiste e può coinvolgere anche i più insospettabili, compreso l’ex braccio destro di Legnini. Il processo stabilirà i fatti. Ora però lo scontro in atto tra il premier e l’associazione dei magistrati guidata da Piercamillo Davigo genera un naturale sospetto. E questo è il male peggiore prima di tutto per la giustizia.
L'Editoriale