Ve li ricordate, quando gridavano? Quando Giorgia Meloni tuonava contro «la sistematica e scientifica svendita del nostro sistema produttivo», quando Matteo Salvini parlava di «shopping sottocosto» e Antonio Tajani denunciava «una vorace campagna acquisti ai danni dell’Italia»? Li ricordate sempre davanti a un microfono, sempre pronti a brandire l’orgoglio nazionale come uno scudo? Bene. Ora dimenticateli.
Perché la vendita di Iveco ai colossi indiani di Tata Motors, ufficializzata ieri, è passata con l’avallo tacito – anzi, complice – degli stessi che ieri invocavano il golden power e oggi preferiscono il silenzio. Salvini, che nel 2021 definì «una sciagura» la possibile cessione ai cinesi di FAW, oggi si nasconde dietro dichiarazioni ministeriali anodine. Tajani, che temeva lo “spezzatino” industriale, oggi ne è parte attiva. Meloni, che nel 2023 bloccava l’ingresso cinese in Pirelli, oggi approva un’operazione quasi identica, solo perché firmata con Nuova Delhi.
La giustificazione è che “l’India è un partner strategico”, e che l’unità militare di Iveco è salva grazie all’acquisto da parte di Leonardo. Ma il patriottismo industriale, se è serio, non può essere così flessibile. Se ieri la proprietà estera era «un furto di sovranità», oggi non può diventare «opportunità di crescita» solo perché fa comodo all’agenda diplomatica o serve a costruire rapporti economici graditi a Palazzo Chigi.
Tata ha promesso di non chiudere stabilimenti per due anni. E poi? Il golden power, che si sventolava come totem contro ogni minaccia estera, non viene nemmeno citato. La divisione militare è stata “salvata” perché altrimenti il governo avrebbe dovuto fare i conti con le sue stesse contraddizioni.
La verità è che lo Stato ha abdicato a ogni ruolo attivo. Il governo non ha gestito l’operazione: l’ha subita, l’ha giustificata, l’ha incartata in comunicati vaghi, nella speranza che nessuno si ricordasse degli strepiti del passato. Ma il passato, come sempre, torna. E pesa.
Chi ieri gridava “Iveco non si tocca” oggi applaude, o peggio: scompare. Non è cambiato il mondo. È cambiato chi lo raccontava.