Chissà a cosa puntano i partiti di governo che giocano con l’ex Fiat, alzando ogni giorno lo scontro con Stellantis, incuranti di mettere a rischio migliaia di posti di lavoro. Sullo sfondo ci sono gli incentivi economici pretesi del gruppo automobilistico per mantenere i livelli occupazionali in Italia e farsi pagare dallo Stato la transizione ecologia, sostituendo gli attuali modelli a benzina e diesel con quelli elettrici. Nulla di nuovo per un’impresa che campa da sempre sull’intervento pubblico, privatizzando i guadagni e socializzando le perdite.
Ma la battaglia diventata campale con gli attacchi diretti della premier Meloni al quotidiano la Repubblica – accusato di colpire l’esecutivo per conto dell’editore (la famiglia Elkann, cioè l’ex Fiat) – si arricchisce ogni giorno di uno scontro nuovo, sia a viso aperto che sotto copertura. Se l’Ad di Stellantis, Carlos Tavares, ha detto chiaramente che senza un cospicuo intervento pubblico potrebbero chiudere stabilimenti come Pomigliano e Mirafiori, il governo ha cercato la provocazione, aprendo (ma solo a parole) a un eventuale ingresso dello Stato nel capitale di Stellantis, così come ha fatto il governo francese, acquistando il 6% del gruppo. Una boutade, per due semplici motivi: il primo è che i grandi azionisti (Peugeot e Fca, cioè quello che era il Lingotto) già mal sopportano Parigi e non vogliono altri soci pubblici.
Il secondo motivo è che per entrare in Stellantis con una quota anche solo simbolica, almeno superiore all’1%, il Ministero dell’Economia o la Cassa Depositi e Prestiti dovrebbero tirar fuori più di un miliardo che, a quanto pare, non avanza nei conti striminziti del bilancio pubblico. In questa situazione d’incertezza, ecco che domenica scorsa viene fatto trapelare solo sulla stampa italiana un presunto piano di Stellantis e Renault per fondersi insieme, stringendo così il controllo dell’Eliseo (già azionista di entrambe). Una sorta di “avviso ai naviganti”, cioè al governo italiano, a darsi una mossa per confermare gli incentivi all’automotive Green (che già superano il miliardo) prima che sia troppo tardi e la produzione di un maggior numero di modelli si sposti altrove, soprattutto negli stabilimenti francesi.
Questa fusione tra colossi dell’auto, riportata ieri da molti quotidiani, è però un’invenzione, subito smentita dal presidente di Stellantis, John Elkann. Ma allora, da dove è partita l’indiscrezione? Dal Giappone, la Meloni è tornata a criticare Tavares, puntualizzando che il governo è attento al settore dell’auto. Un’ovvietà visto che la Fiat (o chi per lei) incassa montagne di fondi pubblici, al punto da far dire a Salvini che tra cassa integrazione e contributi lo Stato nel capitale dell’azienda degli Agnelli c’è già entrato 18 volte.
Restano invece irrisolti i misteri che circondano la vicenda: cambieranno o meno gli incentivi del governo per chi compra un’auto elettrica, quanto investirà Stellantis in Italia, quanti dipendenti continuerà a occupare e persino chi è che fa girare false informazioni sui piani industriali di Stellantis, manipolando il mercato (ieri, a Parigi, Renault ha guadagnato il 4,7% prima di ripiegare) prima ancora che i giochi pericolosi di chi mette a rischio fino a 60mila posti di lavoro diretti e molti di più dell’indotto.