L’annuncio del ministro Gilberto Pichetto Fratin, questa mattina a Bruxelles, ha lo stesso tono di tutte le decisioni delicate che slittano: «Valuteremo per la prossima settimana, stiamo concludendo e integrando». Il decreto energia che il governo prepara da settimane è lì, inchiodato all’ultimo miglio della trattativa politica. Un testo che dovrebbe indicare la rotta della transizione nazionale nei prossimi anni, e che invece è diventato il campo di una contesa interna alla maggioranza. La promessa è la semplificazione delle rinnovabili, la sicurezza energetica, il sostegno alle imprese ad alta intensità di consumo. L’obiettivo dichiarato è “stabilità con realismo”. Il terreno su cui si gioca, però, è quello delle scelte strutturali e delle priorità economiche.
Le fratture nella coalizione
La Lega punta a garantire continuità al gas nazionale. Il dossier sull’Adriatico è tornato al centro, con la richiesta di prorogare le concessioni di estrazione e di ampliare l’approvvigionamento interno. È un messaggio diretto ai distretti industriali del Nord, dove il costo dell’energia incide sulle catene produttive. Fratelli d’Italia tenta di posizionarsi in maniera diversa: la presidenza italiana del Consiglio dell’Ue del prossimo semestre impone una comunicazione più allineata alle strategie europee. Si discute di rinnovabili, comunità energetiche, neutralità climatica come obiettivo dichiarato. La sintesi è complicata: a Palazzo Chigi serve un testo che mantenga l’unità politica, senza smentire l’indirizzo sovranista rivendicato negli ultimi due anni.
Forza Italia gioca un ruolo decisivo. Vuole la proroga dei crediti d’imposta per le imprese energivore e teme che un sistema di incentivi troppo generoso alle comunità energetiche redistribuisca potere e margini a favore delle reti locali e dei piccoli produttori. La difesa dei grandi operatori energetici passa per un linguaggio moderato, ma il punto è chiaro dentro al governo: chi controlla la produzione e la distribuzione resta l’interlocutore centrale dello Stato.
Le critiche dall’opposizione e dalla società civile
Il Partito democratico insiste su un piano nazionale stabile di riduzione delle bollette per le famiglie vulnerabili. Il Movimento 5 Stelle chiede di blindare gli incentivi alle rinnovabili come leva di autosufficienza e di democrazia energetica diffusa. Sinistra Italiana e Verdi parlano senza mediazioni: è un «decreto fossile», dicono, perché continua a destinare risorse alla filiera del gas mentre la crisi climatica accelera.
Nel frattempo, le associazioni ambientaliste mettono a verbale una preoccupazione precisa: la transizione rischia di essere più lenta dei vincoli europei. Legambiente, WWF e Greenpeace ricordano che l’Italia ha già accumulato ritardi sulle autorizzazioni, e che il problema non sta soltanto negli incentivi, ma nelle infrastrutture di rete. Terna e i distributori locali non sono in grado di connettere con sufficiente rapidità i nuovi impianti fotovoltaici e eolici. Il rischio è che le comunità energetiche nascano sulla carta e restino bloccate davanti alle cabine secondarie.
I sindacati guardano a un altro punto: gli aiuti alle imprese. Cgil e Uil chiedono che ogni sostegno sia condizionato a impegni occupazionali verificabili, ricordando i precedenti in cui i crediti d’imposta erano evaporati senza ricadute sul lavoro. La Cisl, più dialogante, punta su accordi territoriali e piani industriali locali.
Il governo ora cerca la quadra. Da una parte la necessità di tenere insieme industria e obiettivi climatici, dall’altra l’urgenza di dare un segnale a una società che continua a pagare bollette elevate e vede nella transizione un percorso opaco. Il decreto energia nascerà, forse già la prossima settimana. Sarà il testo a dirci quale idea di futuro energetico prevale davvero nella maggioranza: l’autarchia del gas come continuità dell’esistente o la scommessa su un modello distribuito, collettivo, costruito attorno alle reti territoriali. La scelta è politica, e stavolta non basterà una formula di equilibrio provvisorio.