Ercolano, quando le morti sul lavoro sono omicidio volontario: ecco perché la sentenza può segnare una svolta

La condanna per l’esplosione della fabbrica abusiva di fuochi segna un precedente: non più rischio consapevole ma dolo

Ercolano, quando le morti sul lavoro sono omicidio volontario: ecco perché la sentenza può segnare una svolta

Il 18 novembre 2024, a Ercolano, un’esplosione spazza via una fabbrica abusiva di fuochi d’artificio. Tre morti: Sara e Aurora Esposito, gemelle di 26 anni, e Samuel Tafciu, 18 anni. Per loro era il primo giorno. Mercoledì 10 dicembre, in un’aula del Tribunale di Napoli, quella deflagrazione ha cambiato nome giuridico. Il giudice per l’udienza preliminare Federica Girardi ha condannato Pasquale Punzo e Vincenzo D’Angelo a 17 anni e 6 mesi ciascuno per triplice omicidio volontario con dolo eventuale; Raffaele Boccia, indicato come fornitore della polvere pirica, a 4 anni per detenzione di esplosivo. Il rito abbreviato ha ridotto le pene. Il salto sta altrove: nella qualificazione del fatto.

Per le famiglie, in aula, la sentenza ha il peso di una resa dei conti arrivata troppo tardi. Le cronache raccontano di urla, tensioni, perfino l’intervento delle forze dell’ordine. Il dolore resta intero, perché ogni cifra letta dal giudice pesa come una frazione di vita rimasta fuori. La città si ritrova davanti a una scena già vista troppe volte: lavoro irregolare, fretta, margini tagliati, sicurezza trattata come dettaglio. Solo che qui il dettaglio è esplosivo, letteralmente. E quando esplode, fa piazza pulita anche delle formule di comodo.

Perché questa sentenza cambia il perimetro

La formula che regge la condanna – omicidio volontario con dolo eventuale – colloca il caso Ercolano in una zona che il diritto penale attraversa di rado quando si parla di lavoro. Di solito la morte in azienda passa dall’omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme di sicurezza. Qui il giudice ha ritenuto provata l’accettazione del rischio letale: lavorazioni esplosive, contesto clandestino, assenza di presidi e organizzazione della prevenzione. Il rischio diventa prezzo accettato.

Il riferimento tecnico che pesa sullo sfondo è la giurisprudenza della Cassazione a Sezioni Unite del 2014, il caso ThyssenKrupp, che ha tracciato i criteri per distinguere colpa cosciente e dolo eventuale. Ercolano entra in quella cornice: la consapevolezza del pericolo e la scelta di procedere ugualmente, dentro un luogo di produzione che, secondo gli atti e le ricostruzioni, esisteva ai margini della legalità. La sentenza viene definita “storica” dalla CGIL Campania, parte civile, perché indica una strada che porta il profitto illegale fuori dal recinto della colpa. Il sindaco Ciro Buonajuto parla di svolta. Dal Partito democratico arriva una nota di Sandro Ruotolo. Dal livello nazionale, nelle ore successive, si avverte soprattutto assenza: poche parole, nessuna presa in carico politica capace di reggere l’urto di tre bare.

Che cosa può accadere adesso

La prima ricaduta riguarda le indagini. Quando emergono ambienti senza tutele, lavoro irregolare, materiali ad alto rischio, l’ipotesi dolosa entra con più forza nel ventaglio delle contestazioni. Cambiano le strategie, cambiano le soglie di responsabilità, cambiano le misure cautelari: sequestri, perizie, filiere da ricostruire fino alla provenienza delle polveri e alla catena delle decisioni. La seconda ricaduta è politica: la discussione sulla sicurezza del lavoro si misura con pene che diventano certe e severe, oltre la retorica e oltre i comunicati di giornata. La terza è culturale: chiamare le cose con il loro nome sposta l’idea stessa di prevenzione, perché costringe a vedere una continuità fra scelta di risparmiare e possibilità concreta di uccidere.

Restano passaggi decisivi. Le motivazioni della sentenza diranno come il giudice ha ricostruito il nesso tra scelte organizzative e morte. I gradi successivi diranno se il dolo eventuale reggerà. La storia giudiziaria insegna che quel confine è conteso. A Ercolano, tre vite spezzate hanno imposto al diritto una domanda semplice e feroce: quanto vale la sicurezza quando il rischio è consapevole. La risposta, per una volta, pesa come un’esplosione che continua a farsi sentire, anche quando l’aula si svuota.