Produzione, trading, lobby: chi ha fatto affari con la guerra dovrà adattarsi a convivere con la pace

Una pace a Kiev taglia gli extra-profitti: munizioni, trader energia e apparati speciali perdono rendite; restano i piani UE/NATO.

Produzione, trading, lobby: chi ha fatto affari con la guerra dovrà adattarsi a convivere con la pace

L’idea di un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina ha già ottenuto un risultato che la diplomazia raramente riesce a fare: ha mosso il denaro. Negli ultimi giorni, sulle indiscrezioni da Washington, i titoli europei della difesa hanno perso terreno: il sottoindice aerospazio-difesa è sceso, con Rheinmetall e Renk in testa. Se l’emergenza si attenua, chi ha prosperato grazie all’emergenza soffre per primo.

La filiera della difesa che vive di ordini urgenti

Negli ultimi due anni il comparto ha accumulato arretrati e contratti come non accadeva da decenni. BAE Systems — sottomarini, caccia Typhoon, elettronica — ha chiuso il 2024 con ordini per 77,8 miliardi di sterline e 28,3 miliardi di vendite (bilancio 2024). Rheinmetall — munizioni da 155 mm, veicoli corazzati, sistemi antiaerei — ha portato il backlog a 63,2 miliardi di euro nel primo semestre 2025 (relazione semestrale). Oltreoceano il quadro è simile. Lockheed Martin — HIMARS e razzi GMLRS — nel 2023 ha ottenuto contratti DoD per 615 milioni sui lanciatori e fino a 4,79 miliardi su due lotti di razzi (notifiche 2023). Il consorzio Javelin (Lockheed+RTX) ha incamerato nuovi ordini; RTX, tramite Raytheon, presidia Patriot e i radar LTAMDS. Sono commesse consolidate che con la pace perdono la spinta straordinaria e riportano i multipli su livelli più sobri.

Reti di sicurezza pubbliche

La politica industriale ha steso paracadute. L’Ue ha varato l’«Ukraine Facility» da 50 miliardi fino al 2027 (Regolamento 2024/792) e sta costruendo l’Edip; la Nato ha aggiornato il «Defence Production Action Plan». Anche con la pace, questi binari restano: garantiscono scorte e standardizzazione, ma tagliano i picchi di margine.

I profitti della volatilità: oil major e case di trading

Se qualcuno ha beneficiato del caos energetico seguito all’invasione, sono stati i colossi integrati e, soprattutto, i trader puri. Shell — integrata dall’upstream alle reti di vendita — nel 2022 ha registrato 39,9 miliardi di utili «adjusted» (Annual Report 2022), spinti da prezzi elevati e trading LNG. Quella rendita da shock è temporanea e si contrae quando i flussi si normalizzano.

Ancora più eloquenti i conti dei «nomadi» dell’energia. Vitol — leader nel trading fisico — ha stimato 15 miliardi di utile nel 2022, circa 13 nel 2023 e 8-8,5 nel 2024; Trafigura nel 2023 ha chiuso a 7,4 miliardi; Gunvor, dopo il picco 2022, a 1,252 miliardi nel 2023. Sono margini legati a differenziali di prezzo e colli di bottiglia che una pace tende a comprimere. Vitol ha indicato volumi stabili ma ricavi in calo nel 2024 per prezzi meno frizzanti.

Le catene agro-alimentari

Nelle catene agro-alimentari la rendita è stata soprattutto logistica. Cargill — trading e trasformazione di cereali e oleaginose — ha investito nel terminale profondo «Neptune» a Pivdennyi; Adm gestiva terminal, frantoi e silos poi sospesi all’inizio dell’invasione. La pace riapre i corridoi del Mar Nero, riduce noli e premi assicurativi, accorcia le rotte: è un bene per Kiev e per i consumatori, meno per chi ha monetizzato spread e colli di bottiglia.

L’inerzia degli apparati e la spinta delle lobby

Un’altra categoria esposta è quella del «momentum istituzionale»: task force, consorzi, piani straordinari nati sull’onda dell’invasione. Eppure il settore parte dall’alto: secondo il Sipri le vendite dei Top 100 dell’industria bellica hanno toccato 632 miliardi di dollari nel 2023, +4,2% sul 2022 (SIPRI Fact Sheet 2024). Negli Stati Uniti l’attrito politico è oliato da strutture permanenti: nel 2024 il comparto «Defense» ha speso circa 150,6 milioni di dollari in lobbying federale; a metà 2025 i dati di OpenSecrets mostrano spese già molto consistenti per Lockheed Martin e RTX. Con la pace questi investimenti non spariscono: cambiano obiettivo, dalla corsa all’urgenza alla sostituzione scorte e alle tecnologie dual use.

Il conto della pace

Chi perde, allora? Perde chi intercetta i picchi: i produttori che hanno beneficiato degli acquisti d’urgenza (munizioni e componenti a pronta consegna), i trader dell’energia che hanno trasformato i colli di bottiglia in super-profitti, gli apparati che hanno giustificato programmi straordinari con l’eccezionalità permanente. Ma non c’è solo perdita: le aziende della difesa restano agganciate ai piani Nato ed europei; gli oil major continuano a generare utili in mercati più ordinati; i trader si adattano con logistica, finanza e servizi.

La pace riscrive la curva dei ricavi: più piatta, meno sorprendente, più competitiva. E il mercato lo ha già mostrato: i titoli della difesa scendono sulle voci di negoziato, ma gli indici non crollano. È l’anteprima di un’economia che guadagna con meno «rendita da disordine». Se e quando Kiev e Mosca firmeranno qualcosa, la vera scommessa sarà trasformare spesa d’emergenza in capacità produttiva efficiente e profitti di crisi in investimenti stabili. Chi ha puntato tutto sulla tempesta, la bonaccia non la ama. È un passaggio inevitabile. .