Fenomenologia di Carlo Calenda, un pariolino in Azione

Carlo Calenda. Un nome, un leader. Sempre in Azione. Tanto da cambiare idea così repentinamente da non stargli dietro.

Carlo Calenda. Un nome, un leader. Sempre in Azione. Tanto da cambiare idea così repentinamente da non stargli dietro. Forse troppo in Azione, a questo punto.

Carlo Calenda. Un nome, un leader. Sempre in Azione

Fatto sta che negli ultimi giorni l’ex ministro dello Sviluppo economico ha prima lasciato immaginare che corresse per conto suo, poi d’un tratto ha cambiato idea dicendo sì a Enrico Letta – e già questo è curioso: un partito che vale intorno al 5 per cento che dice di sì a una forza che conta cinque volte tanto – ma chiarendo che per lui non c’è posto per Luigi Di Maio.

Anzi, visto il passato non proprio roseo tra i due, il leader di Azione l’ha quasi sbeffeggiato riproponendo un vecchio refrain di renziana memoria: “Luigi Di Maio? Non so di chi stia parlando”, ha detto Calenda rispondendo alle domande dei giornalisti. Insomma sì al Pd, no all’ex 5 stelle illuminato sulla via di Damasco.

Ma i cambi di umore di Carlo Calenda non sono finiti qui, puntando i piedi pure con i democratici: bene allearsi e andare insieme, ma a patto che poi il premier sia Mario Draghi. Il salvatore della patria. Ovviamente il Pd gli ha fatto immediatamente capire che non è nella posizione – né tantomeno nei numeri – per decidere lui chi debba essere il premier.

Ma il buon Calenda se n’è infischiato. E ha puntato ancora di più i piedi: “Per Azione e +Europa il candidato presidente del Consiglio non può essere Letta. Forzare su questo punto chiuderebbe immediatamente la discussione”, ha tuonato poche ore dopo rispondendo al dem Matteo Ricci che aveva osato ricordare come il segretario è il candidato presidente del Consiglio per ‘statuto’ del partito.

E, preso dal rimbrottare contro chiunque, è finito col rimbrottare anche contro se stesso, contraddicendosi e candidandosi lui stesso alla leadership di una ipotetica coalizione draghiana. Insomma, da che diceva che al Paese “serve” che l’ex presidente della Bce resti a Palazzo Chigi (“C’è una sola persona che bisogna tenere a fare il presidente del Consiglio e si chiama Mario Draghi. Se i cittadini italiani ci faranno vincere prometto che glielo chiederemo”), si è ritrovato auto-candidato a una coalizione all’interno della quale non si sa chi ci sia.

Un esempio? Dopo mille punzecchiature nel corso degli ultimi mesi, qualche giorno fa Carlo Calenda ha avuto con Matteo Renzi un “incontro affettuoso”. Prepariamoci al prossimo colpo di teatro. D’altronde essere in Azione significa anche questo.

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