Le Lettere

Festival del lavoro povero

A sentire Meloni, dovevamo pagare meno tasse e invece ne paghiamo più di prima. Che magnifico risultato!
Ezio Valletti
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Gentile lettore, una volta non c’era film western in cui il buon indiano non esclamasse: “Uomo bianco parla con lingua biforcuta”. Oggi in un Garbatella-western si direbbe: “Donna bianca parla con lingua biforcuta”, perché quando la Meloni dice una cosa, che magari è tecnicamente vera, ce ne nasconde un’altra. È vero, ha investito 17,6 miliardi in 4 anni per la riforma fiscale, però non dice che ora i redditi medi e bassi pagano al fisco più di prima. Colpa delle “tasse invisibili”, spiega il Corriere della sera, che in genere prima di muovere un dito contro il governo ci pensa bene e poi si taglia il dito. Dunque, i lavoratori guadagnano di più ma stanno peggio e il gettito a favore dello Stato aumenta (+18,85%). Dov’è l’inghippo? Ce ne sono vari. Il primo è l’inflazione, più 17% in 4 anni mentre le paghe sono cresciute di circa il 10%. Il secondo è che chi va in pensione ora viene rimpiazzato da lavoratori con stipendi più bassi, sicché abbiamo più occupati di prima ma il monte-paghe nazionale ha perso il 6,1%: è il festival del lavoro povero. Il terzo è il fiscal drag, che con l’aumento nominale degli stipendi spinge molti lavoratori allo scaglione superiore: “Meno reddito, più tassato” dice il Corriere. “Il governo non ha ridotto le tasse: le ha alzate, soprattutto ai ceti medi”. Conclusione: “La nostra economia decelera sia in assoluto sia a confronto delle economie più importanti” e “si gettano le basi per altri decenni di lavoro povero e nuova emigrazione”. Ottimo, no?

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