Fiducia tiepida alla Camera

di Fausto Cirillo

Nessun applauso si è levato dall’Aula dopo che la vicepresidente Marina Sereni ha proclamato il risultato della votazione sulla fiducia sul governo Renzi (378 voti favorevoli, 220 contrari e un astenuto). In Aula erano rimasti peraltro solo una cinquantina di deputati e sui banchi del nuovo governo si poteva scorgere solo il ministro degli Esteri Federica Mogherini. Lo stesso presidente del Consiglio era già partito da tempo alla volta di Treviso, prima meta dell’annunciato tour nel Paese che da ieri è chiamato a governare. La sua giornata, sotto il profilo dell’immagine e della comunicazione, non è certo stata memorabile. Doveva certificare il trionfo della sua strategia aggressiva e vincente all’interno del partito? A rubargli la scena e gli applausi sono stati invece i suoi due acerrimi avversari: a sua insaputa, Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta gli hanno infatti confezionato lo scherzetto riuscito di una contemporanea presenza in Aula carica di significati. In effetti le vere e proprie standing ovation che i due sconfitti hanno raccolto tra le fila del Pd dicono molto di un partito frastornato, rassegnato al renzismo ma anche poco disposto a perdonargli passi falsi. Il premier, che ha strappato di mano la bicicletta di Palazzo Chigi a un inebetito Letta, sa di dover pedalare di corsa e bene. Troppo ha promesso, troppo disinvolto si è dimostrato. «Abbiamo una sola chance da cogliere qui e adesso» avverte parlando davanti ai deputati: quell’ultima occasione offerta dai segnali di ripresa per «fare l’unica cosa che possiamo fare, cambiare profondamente il nostro Paese, il sistema della P.A., quello della giustizia, del fisco, cambiare profondamente nella concretezza la vita quotidiana di lavoratori e imprenditori». Un programma che vorrebbe tanto sintetizzare in tre tweet, se non fosse che i 140 caratteri concessi mal si conciliano con la mole di cose che vuole dire e soprattutto pensa di fare. Ma dopo il discorso ‘choc’ tenuto al Senato promette di volersi mantenere sul “bon ton istituzionale”. Dice di provare «vertigini e stupore» per l’onore che gli viene concesso di sedere in un luogo in cui è stata fatta la storia del Paese. Ma dove ora si dovrà aprire un nuovo capitolo. In cui, auspica, sia possibile «tentare di fare uno schiocco delle dita tutti insieme, come la Famiglia Addams».

In attesa dello choc
I Cinque Stelle, suoi veri avversari alle prossime elezioni europee, non credono a una sola sua parola e passano al contrattacco, definendo il premier e il neo ministro del Tesoro “due figli di troika”. Il democrat Pippo Civati conferma il suo voto, anche se molto polemico: «Sognavo anche io che la nostra generazione arrivasse fin qui. Ma con le elezioni e non con una manovra di Palazzo». Non è il solo, tuttavia, dentro il partito a storcere il naso. «Ho espresso il mio voto di fiducia al governo esclusivamente per disciplina di partito e di gruppo» dichiara ad esempio il lettiano Marco Meloni. Anche i ‘popolari’ del defenestrato Mario Mauro assicurano la fiducia ma avvertono: «La velocità è necessaria anche in politica. Tuttavia non è inutile, mentre si corre, sapere dove si vada».
Il premier tira avanti, terrorizzato da un surplace che potrebbe farlo cadere. Promette che il suo esecutivo non si farà dettare l’agenda dall’Europa. «Abbiamo un’unica chance: prendere ora, qui e adesso l’occasione della timida ripresa che si sta affacciando, per fare l’unica cosa che possiamo fare: cambiare profondamente il nostro Paese, a partire dalla giustizia civile, dal fisco, nella concretezza di tutti i giorni la vita quotidiana degli imprenditori. Pensiamo – insiste – che il semestre europeo sia una gigantesca opportunità, non una formalità. L’Europa non è il nostro nemico». Il segretario democratico ricorda quindi che «non bastano le riforme costituzionali o elettorali: esiste un’esigenza drammatica, che è quella occupazionale. La riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale – precisa – era in miliardi non in percentuale. Se riduco di 10 miliardi la pressione fiscale non credo possa arrivare un sorrisino» ha affermato rispondendo a un brusio di derisione che giungeva dall’emiciclo. Altro provvedimento al quale il presidente del Consiglio attribuisce particolare importanza è «lo sblocco totale dei debiti della Pubblica Amministrazione» che «deve costituire uno shock come accaduto in Spagna».
Ecco, il momento delle promesse e degli annunci è terminato. Aspettiamo di essere finalmente choccati dalla realtà.