di Carlotta Scozzari
E arrivò il giorno in cui nella finanza italica, basata su strette di mano e partecipazioni incrociate, irruppe la “svalutation”. Intesa non come la nota canzone di Adriano Celentano del 1976 ma come il processo, in pieno corso, di svalutazione a bilancio delle attività. Un processo che rischia di esercitare un vero e proprio effetto domino sull’intero sistema nostrano.
Basti pensare a Telco, la scatola finanziaria che custodisce la quota di maggioranza del 22,39% di Telecom Italia, e che nei giorni scorsi ha abbassato il prezzo di carico a bilancio delle azioni della stessa compagnia telefonica, portandolo da 1,5 a 1,2 euro (oltre il doppio del valore di Borsa, dove Telecom viaggia ormai sotto i 60 centesimi). La rettifica ha innescato un meccanismo a catena sulle società che la controllano, ossia la spagnola Telefonica e le italiane Intesa, Generali e Mediobanca.
I soli gruppi nostrani stanno recependo la svalutazione nei numeri di bilancio: l’istituto di Piazzetta Cuccia ha abbassato il prezzo di carico di Telecom alla fine di febbraio, quando ha approvato i numeri della semestrale (per Mediobanca l’esercizio si chiude il 30 giugno), mentre Intesa Sanpaolo ha adeguato il bilancio due giorni fa, quando il consiglio di amministrazione ha dato il via libera ai numeri del 2012. A questo punto, mancano solo le Generali, che proprio oggi alzeranno il velo sui numero dell’esercizio chiuso al 31 dicembre e che sicuramente recepiranno la rettifica di valore su Telecom Italia. Di più: sembra certa anche la svalutazione della partecipazione in Intesa Sanpaolo, di cui il gruppo del Leone ha in portafoglio il 3,15% e che dovrebbe essere in carico a bilancio a un valore intorno ai 3 euro per azione, oltre il doppio rispetto alla quota di 1,3 euro intorno a cui i titoli della banca viaggiavano alla fine di dicembre. L’impatto netto a bilancio della svalutazione di Intesa dovrebbe aggirarsi sui 200-250 milioni, secondo stime di analisti finanziari. Ma è anche la stessa banca di Ca’ de Sass che a sua volta è azionista delle Generali, con una partecipazione inferiore al 2% rilevante ai fini degli aggiornamenti di Consob. La quota di maggioranza pari al 13,24% del gruppo assicurativo triestino guidato dall’amministratore delegato, Mario Greco, è invece saldamente in mano a Mediobanca. La quale a sua volta è partecipata per la quota di maggioranza dell’8,76% da Unicredit, istituto di credito diretto concorrente di Intesa Sanpaolo. Il capitale di Mediobanca, per oltre il 40%, è blindato da un patto di sindacato, del quale oltre a Unicredit fa parte Pirelli. E la società degli pneumatici, l’11 marzo scorso, ha dovuto svalutare a bilancio proprio la quota dell’1,83% in Piazzetta Cuccia (la quale naturalmente a sua volta ha in mano il 3,95% di Pirelli, mentre Generali è al 4,95 per cento).
Insomma, un tourbillon di partecipazioni, intrecci e ora anche svalutazioni da fare girare la testa. Le rettifiche al ribasso dei valori di carico dei bilanci sono una conseguenza diretta della crisi senza precedenti che l’attuale fase economico-finanziaria sta attraversando. Così come una conseguenza della congiuntura negativa è il ridimensionamento del potere dei salotti finanziari con centro nevralgico proprio in Generali e Mediobanca. Una fase di depotenziamento che dovrebbe proseguire, anche perché, in un futuro non troppo lontano, la regolamentazione sul capitale e la liquidità di Basilea 3 potrebbe costringere Piazzetta Cuccia a scendere intorno ad almeno il 10% del Leone di Trieste.
04/10/2024
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