Finti matrimoni per immigrati. I clan romani copiano Riace. Presa una banda di usurai che ai Castelli faceva affari anche con i permessi di soggiorno

In Calabria intanto è parzialmente accolto il ricorso del sindaco Lucano

Mentre a Riace era un sindaco a favorire l’immigrazione clandestina a colpi di finti matrimoni ma senza intascare denaro, ai Castelli Romani sono gli usurai a gestire il fenomeno per fini tutt’altro che nobili. Non si tratta quindi del più o meno discutibile sistema messo in piedi dal primo cittadino Domenico Lucano, per quei fatti finito ai domiciliari che sono stati sostituiti ieri con il divieto di dimora a Riace dal Riesame, ma di un vero e proprio business da parte della criminalità portato alla luce, ieri, con 3 arresti e 10 indagati. Nessuna velleità di dare una mano al prossimo, ovvero quanto sostiene di aver fatto il sindaco di Riace anche se in barba alle leggi, ma la sola volontà di mettere le mani su un tesoretto sfruttando i disperati. Eppure, nonostante le tante differenze, i due casi propongono il medesimo problema dei flussi migratori e dello stratagemma dei finti matrimoni grazie ai quali far ottenere permessi di soggiorno anche a chi non ne avrebbe titolo. Una questione, quella degli sbarchi di disperati, che non può che essere politica e a cui sta provando a dare una risposta e a porre un freno l’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, a suon di rimpatri, arresti e tentativi di limitare gli arrivi dall’Africa. Del resto quanto sta tentato di fare il vicepremier non è altro che pretendere il rispetto delle leggi da chi, vuoi per ragioni umanitarie o per profitto, ha deciso di far da sé, cosa che non può essere tollerata in uno Stato di diritto.

LA BANDA – Anche perché la mancata regolamentazione dei flussi migratori può portare a problemi di ordine pubblico e arricchire la criminalità. Proprio come già successo con Mafia Capitale prima e con la banda dei Castelli Romani sgominata ieri dalla Procura di Velletri. Cinque di loro avevano fiutato l’odore dei soldi facili fatti sulla pelle dei disgraziati. Non solo, questo a riprova che esiste un problema di ordine pubblico, il gruppo sapeva anche a chi rivolgersi ovvero a quelle persone prive di documenti e con problemi con la giustizia italiana. Insomma i più disperati tra tutti, quelli disposti a pagare per ottenere l’impunità e girare liberamente in Italia. Come nel caso, uno tra i tanti, di un 33enne marocchino e pluripregiudicato, che si era rivolto alla banda per usufruire dei loro servizi. Così, in cambio di 1200 euro, veniva organizzato un finto matrimonio, con testimoni e sposa italiani, compiacenti e interni all’organizzazione. I sodali avevano pensato a tutto, anche a come eludere i controlli della Prefettura per accertare la validità del matrimonio. Ai finti sposi, veniva fornito un elenco di risposte alle possibili domande che, imparate a memoria, garantivano il superamento degli accertamenti. Non solo. La banda dei Castelli Romani, specializzata in usura con tassi fino al 223% e favoreggiamento dell’immigrazione, aveva al suo vertice un 74enne accusato anche di truffa all’INPS, per 70mila euro, in quanto risultava invalido civile al 100% pur non avendone alcun titolo.