Flat tax, tagli all’Irpef, asili gratis & Co. È la manovra dei sogni

Flat tax, rottamazioni, più sanità e un maxi piano casa: il catalogo degli annunci non entra nei saldi e divide la maggioranza.

Flat tax, tagli all’Irpef, asili gratis & Co. È la manovra dei sogni

Gli annunci sono partiti prima dei numeri. In vista della manovra ogni partito di governo alza la propria bandiera: Forza Italia ha rilanciato una flat tax al 24 per cento con taglio dell’aliquota intermedia dal 35 al 33; la Lega ha promesso il 15 per cento «per tutti» e una nuova pace fiscale con rottamazioni a rate lunghe; Palazzo Chigi assicura il rafforzamento del pacchetto natalità e soldi veri contro le liste d’attesa. Sulla carta, tutto insieme e subito. Il problema è nei margini di bilancio e nelle nuove regole europee: gli spazi sono stretti, le misure strutturali pesano a regime e ogni euro stabile ne esige un altro in copertura.

Fisco e pensioni

Forza Italia difende l’aliquota piatta al 24 per cento e un allargamento dello scaglione medio. La Lega non arretra dal 15 per cento e vuole riaprire la stagione delle sanatorie: sconti su sanzioni e interessi, piani di rientro più lunghi, cassa subito. Le due linee cozzano tra loro e con la contabilità: un taglio generalizzato dell’Irpef costa in modo ricorrente e non si sterilizza senza entrate aggiuntive; le rottamazioni, per esperienza, incassano all’inizio ma generano un alto tasso di insoluti e gettito incerto negli anni successivi. Per questo dal Ministero arrivano ipotesi più prudenti: proroga del taglio del cuneo, ritocchi agli scaglioni, detassazione selettiva di tredicesime e straordinari. Anche sulle pensioni lo scarto è evidente. La «Quota 41 per tutti» che era un vessillo leghista costoso e poco compatibile con i saldi pare definitivamente tramontata come ipotesi; l’idea delle minime a 1.000 euro, ciclicamente evocata in area azzurra, non ha mai trovato coperture universali. Al massimo si intravedono micro-correzioni e finestre mirate: manutenzione, non riforma.

Sanità, famiglia, casa

Il ministro della Salute promette di abbattere le liste d’attesa e di rafforzare gli organici. Obiettivi giusti e popolari, ma costosi: assunzioni, straordinari, acquisto di prestazioni dal privato convenzionato e rinnovi contrattuali non si finanziano con una tantum. Se l’intervento è strutturale, anche la copertura deve esserlo. Sul fronte natalità la maggioranza rivendica bonus mamme, un assegno unico più generoso, congedi più lunghi e asili «sostanzialmente gratuiti». Ogni punto aggiuntivo vale miliardi e impone scelte: o nuove entrate, o tagli selettivi ad altri capitoli. Intanto il capitolo abitativo è diventato il totem della stagione: la promessa di 150.000 alloggi popolari entro metà 2026 mostra il divario tra slogan e cantieri. Tra bonifiche, progettazioni, gare, perizie, varianti e costruzioni, quel numero nei tempi annunciati non è realistico se non spacchettandolo in ristrutturazioni leggere, acquisizioni di immobili sfitti e quote di social housing attivate da leve fiscali. Sullo sfondo c’è la retorica eterna delle accise: dopo i proclami, il 2025 ha visto il riallineamento tra benzina e diesel coerente con gli impegni europei. E il canone Rai, altro terreno d’annuncio, è tornato a 90 euro.

Coperture e verità dei numeri

Il nodo è come pagare. Una parte della coalizione guarda a prelievi “di scopo” su buyback e profitti finanziari; l’ala più ortodossa respinge l’idea di «nuove tasse» in nome della neutralità fiscale. La spending review resta la formula magica di ogni settembre, ma significa scelte impopolari: riordino dei bonus, tagli ai trasferimenti, riallineamento di agevolazioni stratificate. Ognuna di queste voci apre un controfronte sociale o territoriale. In controluce pesano altri impegni fissi, dalla difesa alle indicizzazioni, che comprimono i margini. Per questo lo sbocco più probabile è una manovra di conferme: rinnovo del taglio del cuneo, piccoli aggiustamenti Irpef, qualche misura sulla natalità ricalibrata, un fondo anti-liste d’attesa, interventi circoscritti su mutui e prima casa, forse una rottamazione più prudente e selettiva. La flat tax “vera” difficilmente supererà il setaccio della Ragioneria; il piano casa in numeri tondi resterà un titolo.

La prova di verità è nel passato prossimo. Le promesse cicliche che non sono mai diventate legge — accise, canone, minime a 1.000 euro, flat tax generalizzata — raccontano meglio di qualsiasi conferenza stampa lo scarto tra propaganda e contabilità. Per orientarsi bastano tre domande, più utili di uno slogan: quanto costa? con quali coperture stabili? a scapito di quale altra priorità? Se una di queste risposte vacilla, l’annuncio è solo un titolo. E quando la politica si accontenta dei titoli, il conto arriva lo stesso: meno servizi dove servono, meno investimenti dove servirebbero, più debito dove pesa di più. È la lezione che ritorna a ogni autunno di promesse.