Salvare la sanità lombarda si può. L’appello dei medici alla Regione. Privatizzazioni selvagge e fuga dalle corsie Gli operatori: stop allo sfascio del servizio pubblico

Fontana deve salvare la sanità lombarda. L’appello dei medici alla Regione. Privatizzazioni selvagge e fuga dalle corsie

Un cambiamento alla radice del Servizio sanitario regionale che faccia leva sulle iniziative e le proposte che associazioni e comitati hanno elaborato negli ultimi due anni, durante la crisi pandemica. Lo chiedono i medici e gli operatori socio sanitari (fino ad ora 101) che hanno sottoscritto l’appello.

“Salvare la Lombardia è possibile. Salviamo il servizio sanitario lombardo”. Un’emergenza alla quale la politica regionale non ha dato una risposta. “Abbiamo sottoscritto questo appello per lo stato drammatico in cui versa il Servizio sanitario pubblico lombardo, sempre più in balia della privatizzazione, con la conseguente fuga degli operatori dalle strutture pubbliche. Pesanti disservizi, liste d’attese infinite, gravi disagi per i pazienti sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna uscire da questo tunnel anche e soprattutto per salvare la Lombardia” denuncia Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina Democratica.

“Il problema è la carenza di personale specializzato, la promozione e il riconoscimento della professione infermieristica presso i giovani, tra l’altro mal pagata nonostante abbia una sua autonomia professionale. A livello regionale – e nazionale – non c’è una razionalizzazione dei servizi e la pandemia ha acuito i problemi e amplificato una situazione di difficolta” commenta Carmela Rozza, consigliera regionale Pd, con una lunga esperienza nel campo infermieristico e sindacale prima che politico.

“La Regione non ha fatto una chiamata di concorso regionale per creare un bacino di utenza, non ha stabilizzato i precari e ha portato avanti una gestione atipica del personale a vantaggio di posizioni dirigenziali ed amministrative. A Bergamo, ad esempio, il cuore della pandemia e dell’emergenza Covid, hanno promosso due amministrativi piuttosto che aumentare e stabilizzare il numero di infermieri o medici e ai concorsi interni dell’Ast partecipano solo i dirigenti o ex direttori in attesa di posto. Stiamo dando cioè la sanità in mano ai direttori amministrativi”.

A scagliarsi con forza contro la riforma liberista della sanità firmata da Letizia Moratti, nata sulle macerie di una pandemia e di un sistema sanitario che non ha saputo gestirla, anche il consigliere regionale del Movimento 5 stelle Marco Fumagalli che ha fatto parte della Commissione d’inchiesta Covid – 19.

Malattia e cura

“La riforma Moratti favorisce il sistema sanitario privato e non ha quindi ripercussioni sulla medicina territoriale, sulla prevenzione e sulla capacità tempestiva d’intervento” spiega. “Le malattie cardiovascolari nascono da una cattiva alimentazione così come l’alcolismo o la tossicodipendenza dall’isolamento sociale e da cattive abitudini della popolazione. Basterebbero una dieta corretta o interventi socio sanitari tempestivi e mirati promossi dalla sanità pubblica per prevenire e nel caso curare. Se i servizi vengono affidati alle strutture private ciò non è possibile perché viene a mancare la medicina del territorio”.

Anche la stessa figura dell’assistente sociale, previsto dal Pnrr, non ha molto a che vedere con le strutture private. “L’articolo 2 equipara pubblico e privato e ciò fa sì che se i cittadini devono reperire sul mercato le cure aumentano in maniera esponenziale i costi di transizione, che vengono tolti alle cure stesse da un regime di concorrenza che crea bisogni indotti a tutto discapito del pubblico che non è più competitivo”.

I cittadini si ritrovano così con meno servizi e sempre più costosi. “E’ una filosofia liberista che caratterizza questa Regione – puntualizza Fumagalli – perché c’è qualcuno che specula sulla pelle dei cittadini e che vorrebbe trasformare il nostro sistema sanitario nato da una Costituzione repubblicana in un regime privato accessibile solo ai ricchi. Uno scandalo che diventa anche politico considerato che le banche dati – come quella gestita dalla società pubblica Area – aspettano dati dal pubblico perché non possono arrivare per motivi di privacy dal privato, portando un ritardo nell’aggiornamento di almeno 4 anni. La Regione, così, oltre a distrarre fondi al pubblico, occulta qualsiasi tipo di dato che servirebbe a gestire e a ottimizzare le risorse venendo meno all’articolo 32 che sancisce il sacrosanto diritto dei cittadini alla salute e alle cure”.