Quindici milioni di euro. A tanto ammonta, potenzialmente, il contenzioso dovuto ai circa 3.300 ricorsi, tra individuali e collettivi, presentati dagli ex forestali presso i Tar italiani in seguito alla legge Madia che nel 2015 decretò la soppressione del Corpo forestale dello Stato. Nelle 31 cause trattate finora, dieci Tar hanno dato ragione ai ricorrenti, condannando le amministrazioni soccombenti a versare a favore dei forestali circa 88mila euro.
Il danno potenziale per le casse dello Stato ammonterebbe a quasi 9,5 milioni, che secondo le stime dei sindacati ex Cfs potrebbero arrivare a 15 milioni in caso di appello al Consiglio di Stato. Il 25 ottobre 2018 si è infatti svolta la prima udienza a palazzo Spada: la sentenza, emessa dopo un solo giorno, ha condannato le amministrazioni ricorrenti a pagare 10mila euro di spese.
Minaccioso è anche il fronte Ue. Dopo che ben tre Tar (Molise, Marche e Abruzzo) hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale sulla riforma, liquidate ad aprile 2019 dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 170, due organizzazioni sindacali degli ex forestali hanno fatto ricorso al Comitato Europeo dei Diritti Sociali. Il comitato ha riscontrato – a differenza della Consulta – una violazione delle libertà sindacali protette dall’art. 11 della Convenzione europea: nel passaggio da civili a militari, i forestali hanno perso il diritto di sciopero e di libera associazione.
Anche la Cedu, la Corte europea dei Diritti dell’uomo, esaminando i primi due su 1.500 ricorsi pendenti, ha ipotizzato lo spoglio di alcuni diritti fondamentali e invitato il governo italiano a trovare una conciliazione. Nel novembre 2020 il governo Conte II ha risposto alla Corte, riconoscendo la parziale violazione dell’articolo 11 e offrendo un risarcimento onnicomprensivo (rifiutato) di 2.000 euro. A breve la sentenza.