Nel silenzio assordante delle cancellerie internazionali, continua la strage di civili a Gaza. Nelle ultime ventiquattro ore, i raid israeliani hanno ucciso 94 persone e ferito 252. Il bilancio complessivo dall’inizio della guerra, secondo fonti sanitarie locali, è di 58.573 morti. Numeri che, da soli, disegnano un crimine umanitario. Ma i numeri, da soli, non bastano: sono le storie che mancano, le facce, le vite spezzate.
A morire non sono “terroristi”, come si affanna a ripetere la propaganda bellica, ma donne, bambini, anziani. Ieri almeno 19 persone sono state schiacciate in una calca nel tentativo di ottenere un sacchetto di aiuti. E la fame – come denuncia l’Unrwa – è un’altra arma di guerra: la malnutrizione acuta tra i minori sotto i cinque anni è raddoppiata da marzo. Una generazione intera condannata alla fame prima ancora di conoscere la pace.
Intanto, a Washington si discute di cessate il fuoco con il Qatar. A Bruxelles, si tergiversa. E in Italia, il governo esprime “preoccupazione”, mentre la presidente Meloni ringrazia i servizi segreti per il lavoro “a Gaza”. Il linguaggio resta criptico, ma l’allineamento è chiaro. Il massacro è sotto gli occhi di tutti, ma la reazione è calibrata sull’elettorato, non sul diritto.
La relatrice Onu Francesca Albanese parla apertamente di genocidio e chiede azioni concrete. L’Ue, per voce di Borrell, decide di non punire Israele. Un’omissione che pesa quanto la complicità.
La storia, quando arriva, non chiede permesso. E questo capitolo, già oggi, si scrive col sangue dei civili e l’inchiostro lavato via dai governi che hanno scelto di guardare altrove.