Pier Silvio Berlusconi ha rilanciato l’operazione che potrebbe far tremare l’ecosistema mediatico tedesco. La sua MediaForEurope (MFE), erede dell’impero Mediaset, ha alzato l’offerta per acquisire la quota restante del gruppo ProSiebenSat.1, già secondo broadcaster privato in Germania. L’obiettivo è semplice: trasformare MFE in un gigante paneuropeo della televisione commerciale, capace di competere con Netflix e YouTube.
La nuova offerta – 4,48 euro in contanti e 1,3 azioni MFE A per ogni azione ProSieben – vale fino a 8,62 euro per azione e supera di netto la controproposta del gruppo ceco PPF. Non è solo una manovra finanziaria: Berlusconi jr. parla di “progetto industriale”, sinergie fino a 419 milioni annui e un’alleanza per l’indipendenza europea dei media. Ma la Germania, davanti a queste parole, ha reagito con fermezza insolita.
Il muro tedesco
Wolfram Weimer, Commissario per i Media, ha convocato Pier Silvio a Berlino per settembre. “Chi compra un gruppo mediatico in Germania assume una responsabilità politica“, ha dichiarato. A Berlino, del resto, hanno ben presente il modello costruito dal padre, tra interessi incrociati, propaganda politica e conflitti d’interesse mai risolti. E la proprietà MFE, controllata dalla famiglia Berlusconi, evoca timori profondi di condizionamento editoriale.
L’Associazione dei Giornalisti tedeschi ha parlato di “berlusconizzazione strisciante” e chiede che MFE venga bloccata sotto la soglia del 25% di proprietà, ormai superata. I giornali tedeschi rispolverano gli scandali del Cavaliere e l’uso partigiano dei notiziari Mediaset. In questo scenario, anche se Berlusconi jr. non fa politica, il suo cognome è un marchio indelebile che desta sospetti più della sua offerta industriale.
Il governo federale ha chiesto garanzie: indipendenza editoriale, mantenimento della sede in Germania, nessun licenziamento. E i regolatori hanno avviato un’indagine sull’eventuale “potere di opinione dominante” che MFE potrebbe assumere, un concetto giuridico tipicamente tedesco, che va oltre la concentrazione economica e tocca la struttura stessa del dibattito pubblico.
Italia e Germania, due mondi mediatici distanti
Il caso MFE-ProSiebenSat.1 è lo specchio di due sensibilità opposte. In Italia, la sovrapposizione tra potere politico e controllo mediatico è stata per anni una consuetudine istituzionalizzata: dalla legge Gasparri alla gestione lottizzata della Rai, dal Sic alle soglie antitrust aggirate per via normativa. La Legge Frattini, pensata per gestire il conflitto d’interessi, è stata così inefficace da diventare essa stessa parte del problema.
In Germania, la storia ha lasciato cicatrici più profonde. Il principio di Staatsferne – la distanza dello Stato dai media – è un pilastro costituzionale. Il sistema duale (ARD/ZDF da una parte, privati fortemente regolamentati dall’altra) è costruito per impedire concentrazioni e ingerenze. Il modello tedesco non teme tanto l’investitore straniero quanto l’investitore con una storia di strumentalizzazione politica. MFE, anche senza politici in carica, è considerato il prodotto di quell’intreccio. E proprio questo basta, per molti a Berlino, a renderla incompatibile con l’ecosistema mediatico tedesco.
Una battaglia per l’Europa (dei media)
Il confronto tra MFE e PPF non è solo economico. PPF, con la sua offerta in contanti e l’impegno a non modificare governance né identità editoriale, appare più rassicurante. Ma Pier Silvio, sostenuto da Fininvest e da una strategia pan-europea, insiste: “Vogliamo costruire un polo indipendente e competitivo, con radici locali”. La sfida, però, non è sul mercato. È sulla fiducia. E sulla stagione legata al padre che in Germania non è archiviata.
Nel frattempo, Bruxelles osserva. L’European Media Freedom Act, che entrerà in vigore ad agosto, impone standard comuni su proprietà, pluralismo e interferenze. L’operazione MFE sarà il primo vero test di questa nuova architettura europea. Ma se il confronto culturale resta irrisolto, nessuna norma basterà. Mentre la scadenza dell’Opa si avvicina (13 agosto), Berlino è già diventata il teatro di un conflitto molto più grande. E il nome Berlusconi, ancora una volta, è quello che divide.