Regeni, Egitto con le spalle al muro. Ecco la mail anonima che racconta la verità e fa i nomi dei colpevoli

Una lettera anonima in possesso dei pm italiani mette l'Egitto dinanzi alle sue responsabilità sulla morte di Giulio Regeni

Altri nuovi pesanti dettagli emergono sulla morte di Giulio Regeni. A parlarne è Carlo Bonini, oggi, su Repubblica, che svela la mail anonima che rivela chi e in che modo ha ucciso il ricercatore italiano scomparso e trovato senza vita al Cairo. Una mail che cita particolari mai resi pubblici. Una mail in arabo acquisita dalla procura di Roma alla vigilia del vertice tra investigatori italiani ed egiziani in programma domani. Il messaggio anonimo racconta una storia sulla fine del ricercatore di Fiumicello (scomparso dal Cairo lo scorso 25 febbraio e trovato senza vita con evidenti segni di tortura nove giorni dopo) che tira in ballo gli apparati di sicurezza egiziani, civili e militari, la polizia di Giza, il ministero dell’Interno, la Presidenza.

“L’Anonimo scrive a Repubblica da qualche giorno da un account mail Yahoo, alternando, nei testi, l’inglese, qualche parola di italiano, e la sua lingua, l’arabo. Si dice della polizia segreta egiziana”, scrive Bonini. Lascia intendere di essere collettore e veicolo di informazioni di chi non può esporsi in prima persona, se non a rischio della vita. Delle sue mail sono in possesso il pm Sergio Colaiocco e il legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. E, come ogni anonimo, l’attendibilità del suo racconto va presa con assoluto beneficio di inventario. Se non fosse per una circostanza. L’Anonimo svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, perché corroborati dall’autopsia effettuata sul cadavere di Giulio nell’Istituto di medicina legale di Roma. Chi scrive, insomma, chiunque esso sia, sapeva e sa qualcosa che potevano conoscere solo i torturatori di Giulio o chi dei suoi tormenti è stato testimone.

Il primo importante aspetto emerso riguarda l’ordine di sequestrare Giulio Regeni, che, secondo quanto scritto nella mail anonima, sarebbe stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza, ovvero il distretto in cui a fine gennaio è scomparso il ricercatore italiano. Shalabi ha già alle spalle una condanna per torture e dopo il ritrovamento del cadavere di Regeni ha accreditato prima la tesi dell’incidente stradale e poi quella del delitto a sfondo omosessuale:

Un secondo dettaglio, ancora, riguarda il modo in cui Giulio Regeni sarebbe stato torturato. Il ragazzo sarebbe stato condotto nella caserma di Giza, “privato del cellulare e dei documenti” e “di fronte al rifiuto di rispondere ad alcuna domanda in assenza di un traduttore e di un rappresentante dell’Ambasciata italiana”, sarebbe stato pestato una prima volta. Scrive Bonini: chi lo interroga “vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando”. Quindi, tra il 26 e il 27 gennaio, “per ordine del Ministero dell’Interno Magdy Abdel Ghaffar”, viene trasferito “in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City”. Di fronte ai suoi nuovi aguzzini, Giulio continua a ripetere di non avere alcuna intenzione di parlare se non di fronte a un rappresentante della nostra ambasciata. Qui le sevizie crescono e si fanno più feroci, per ben 48 ore: viene “picchiato al volto”, quindi “bastonato sotto la pianta dei piedi”, “appeso a una porta” e “sottoposto a scariche elettriche in parti delicate”, “privato di acqua, cibo, sonno”, “lasciato nudo in piedi in una stanza dal pavimento coperto di acqua, che viene elettrificata ogni trenta minuti per alcuni secondi”. “Bastonature sotto i piedi”. Tutti dettagli che i pm hanno riscontrato con l’autopsia.

Giulio Regeni, rivela ancora la mail, avrebbe resistito a tre giorni di torture. A quel punto il ministro dell’Interno avrebbe deciso di affidare la questione al consigliere del presidente Al Sisi, il generale Ahmad Jamal ad-Din, il quale, informato dal presidente, avrebbe ordinato il trasferimento del ricercatore di Fiumicello in una sede dei servizi segreti militari, a Nasr City “perché venga interrogato da loro”.

È una decisione che segna la sorte di Giulio. “Perché i Servizi militari vogliono dimostrare al Presidente che sono più forti e duri della Sicurezza Nazionale “. Giulio “viene colpito con una sorta di baionetta” e “gli viene lasciato intendere che sarebbe stato sottoposto a waterboarding, che avrebbero usato cani addestrati” e non gli avrebbero risparmiato “violenze sessuali, senza pietà, coscienza, clemenza”. “Una sorta di baionetta”. È un secondo, importante dettaglio. Corroborato, anche questo, dal tipo di lesioni da taglio sin qui non divulgati dell’autopsia effettuata in Italia.

Dopo i colpi di baionetta Giulio Regeni sarebbe entrato in stato di incoscienza. Ma ciò non avrebbe fermato le violenze. Secondo alcuni medici lo studente italiano avrebbe addirittura finto di star male. E ciò ha portato i suoi aguzzini a continuare con incredibili torture. Botte, pugni, calci. Fino allo “spegnimento di mozziconi di sigaretta sul collo e le orecchie”. Finché Giulio non crolla “e a nulla valgono i tentativi dei medici militari di rianimarlo”.

Ed è proprio quello dei mozziconi il terzo dettaglio, riscontrato dall’autopsia italiana, che l’anonimo dimostra di conoscere pur essendo pubblicamente ignoto. Ed è quello che spiega il perché nella prima autopsia al Cairo il corpo di Giulio venga mutilato con l’asportazione dei padiglioni auricolari.

Davanti a un tale resoconto, ora vedremo cosa accadrà domani quando i pm egiziani incontreranno quelli italiani.