Un anno di menzogne, depistaggi, silenzi e verità nascoste. Un anno dopo il quale non è state resa giustizia alla famiglia di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e poi ucciso in maniera brutale. Era il 25 gennaio dell’anno scorso, infatti, quando lo studioso è morto, lasciando la famiglia prima nel dubbio della scomparsa, poi nell’atroce verità della sua uccisione. I filoni d’indagine, però, oggi portano in un’unica direzione: il movente è chiaro, l’ambito dell’area dove cercare i responsabili ben a fuoco. Una certezza data anche dall’ultimo tassello, aggiunto ieri alla vicenda. L’Espresso, infatti, ha pubblicato in esclusiva un video – in possesso della Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone – in cui sono ricostruiti gli ultimi fotogrammi in vita di Regeni. È il 6 gennaio 2016: lo studioso italiano è a colloquio con Mohammed Abdallah, capo del sindacato autonomi degli ambulanti del Cairo, il quale chiede a Regeni dei soldi, riprendendolo in volto. Il video dell’incontro, hanno fatto sapere gli inquirenti, è della durata di un’ora e 55 minuti, ma l’effettivo colloquio, in lingua araba, tra Regeni ed il sindacalista è di circa 45 minuti.
La conversazione – Durante la conversazione, e ciò è definito molto importante dagli inquirenti romani, il ricercatore universitario propone al sindacalista un progetto di finanziamento di 10 mila sterline a favore delle iniziative degli ambulanti ma si mostra inflessibile alle proposte di Abdullah di destinare il denaro ad altri scopi ovvero un intervento medico per la figlia o per scopi politici. I due, infatti, parlano del progetto della fondazione Antipode, l’associazione britannica che aveva messo a disposizione sino a diecimila sterline per partecipare a un progetto per l’inclusione sociale, destinato ai paesi in via di sviluppo. “Tu sei convinto che io possiedo molta autorità. In verità io non ho alcuna autorità! Il programma parte dalla Gran Bretagna. Io non conosco le persone operanti all’interno dell’istituto competente per i soldi! Che posso fare? Vuoi che gli scrivo una mail dicendogli che ci servono i soldi subito perché fra due settimane c’è la ricorrenza del 25 gennaio?!”. E Abdallah insiste: “Si può fare?”. “Certo che no – controbatte Regeni – Per me non è professionale. Non ho nessuna autorità. Io sono solamente uno straniero in Egitto. Sono un ricercatore e mi interessa procedere nella mia ricerca – progetto. Io, Giulio, il mio interesse è questo. E mi interessa che voi come venditori ambulanti fruiate del denaro in modo ufficiale, come previsto dal progetto e dai britannici. Questo è l’importante per me”. Ma la conversazione continua. “Giulio, ascolta continua Abdallah – Noi ormai siamo amici, giusto? Io ho una situazione familiare disagiata. Mia figlia è stata operata il cinque. Mia moglie deve essere operata per cancro. Per cui io sono disposto a buttarmi su qualsiasi cosa, l’importante che ne escano fuori dei soldi!”. Ma Regeni, ancora, taglia corto: “Senti, Mohammed, questi soldi non sono i miei. Io non posso utilizzarli a mio piacimento perché sono un accademico e non posso comunicare all’istituto britannico che intendo usare i soldi per fini personali. Si creerebbe un grande problema per i britannici!”. “Ma non c’è una scappatoia per poter utilizzarli a fini personali?”. “Non so che dirti! Questi soldi provengono tramite me, ma dalla Gran Bretagna e dal Centro Egiziano. E da quest’ultimo ai venditori ambulanti. Non c’è altra via!”.
L’ennesimo depistaggio – Il video, che è stato consegnato alla procura di Roma dal procuratore egiziano nell’incontro che si è tenuto nel dicembre scorso, dimostra non solo che il ricercatore era attenzionato dalla polizia, ma che qualcuno, con tutta probabilità, tentò di incastrarlo. Per mezzo, ovviamente, di Abdallah. Ma c’è un altro dettaglio, non di poco conto. Il colloquio, come detto, avviene il 6 gennaio: ciò contraddice la ricostruzione fatta lo scorso settembre dal procuratore della Repubblica Araba d’Egitto Nabil Ahmed Sadek, secondo la quale Abdallah avrebbe denunciato la prima volta Giulio il 7 gennaio 2016.Il video, realizzato con mezzi che con tutta probabilità proprio la polizia ha fornito al sindacalista, dimostra che Abdallah aveva parlato di Giulio alla National Security egiziana ben prima del 7 gennaio, nell’intervallo compreso tra la riunione del sindacato cui Giulio aveva partecipato, unico europeo presente, a metà dicembre del 2015 e il 6 gennaio, giorno in cui Abdallah indirizzato dalla polizia fece la chiacchierata con il giovane. Dettagli che, a un anno di distanza, rendono l’intera vicenda ancora più torbida. Mentre la famiglia di Giulio si stringe in un silenzio. E nel vuoto della morte di un figlio per omicidio di Stato.