Il 10 agosto 2025 Marc Bossuyt, ex presidente della Corte costituzionale belga, ha consegnato all’ufficio del premier Bart De Wever un parere che invita a orientare le nomine giudiziarie verso profili più conservatori e a rivedere le regole dell’asilo per facilitare i respingimenti. La notizia, rivelata da Euractiv, non ha ricevuto commenti ufficiali dal governo di Bruxelles, ma ha il peso di un documento che rende esplicito ciò che finora era rimasto sottinteso: l’idea che per ridisegnare le politiche migratorie serva anche intervenire sul sistema giudiziario.
Il caso-Belgio e il memo che svela la strategia
Non si tratta di un episodio isolato. La Commissione europea, nel Rule of Law Report 2025, ha denunciato pressioni crescenti sui giudici nei procedimenti riguardanti l’immigrazione, sottolineando come la politicizzazione del tema stia mettendo a rischio indipendenza e imparzialità. Lo stesso ha segnalato l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) nel Fundamental Rights Report 2025, avvertendo che la trasformazione della migrazione in una bandiera elettorale porta inevitabilmente a comprimere i rimedi effettivi per i richiedenti asilo.
Il quadro viene confermato anche dalla International Commission of Jurists, che nel rapporto pubblicato a gennaio 2025 con il titolo eloquente Justice Under Pressure descrive un’Europa in cui le corti sono sottoposte a tentativi di condizionamento attraverso la leva delle nomine e della disciplina. Secondo lo studio, i governi che faticano a trovare strumenti legislativi compatibili con il diritto europeo finiscono per spostare il conflitto sulle regole interne della magistratura.
La ricerca accademica ha già mostrato le conseguenze. L’analisi comparata di Natascha Zaun, pubblicata fra il 2023 e il 2024, evidenzia che nei Paesi dove l’indipendenza dei giudici è più fragile, i tassi di riconoscimento dell’asilo calano sensibilmente. Non un dettaglio statistico, ma un legame diretto tra assetti istituzionali e diritti fondamentali.
La giustizia come terreno di scontro sui diritti
Sul piano giurisprudenziale, l’estate 2025 ha segnato un passaggio cruciale. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha ribadito che l’uso delle liste di “Paesi sicuri” e delle procedure accelerate resta sottoposto a pieno controllo del giudice, imponendo un limite chiaro alla discrezionalità degli esecutivi. Nello stesso periodo, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riaffermato la validità delle misure provvisorie previste dalla Rule 39, strumento che obbliga gli Stati a sospendere espulsioni o trasferimenti quando esiste un rischio immediato di danno irreparabile. Anche in questo caso, però, diversi governi hanno chiesto di ridurne la portata, segno che il fronte politico non rinuncia a mettere in discussione il ruolo delle corti.
Il memo Bossuyt ha il merito di togliere il velo. Scrive ciò che altri governi praticano implicitamente: la strategia di influire sulle nomine giudiziarie e riscrivere le regole dell’asilo per garantire un’applicazione più allineata alla linea politica. Una linea che rischia di trasformare la giustizia da argine di legalità a strumento di governo dei flussi.
In Italia il dibattito non è meno acceso. Le sentenze che hanno imposto correzioni all’accordo con l’Albania o limitato l’uso dei “Paesi sicuri” hanno suscitato reazioni politiche dure, con accuse di «ingerenza» rivolte alla magistratura. Eppure proprio i giudici, chiamati a valutare ricorsi contro trattenimenti e respingimenti accelerati, restano l’ultimo presidio per verificare il rispetto delle norme europee. Il rapporto Aida/Ecre 2025 documenta come l’estensione delle procedure di frontiera abbia moltiplicato i contenziosi, segno che l’efficienza amministrativa non può prescindere dal controllo giurisdizionale.
La pressione politica sulla giustizia, dunque, non è un’anomalia periferica, ma uno snodo centrale per il destino dei diritti dei migranti in Europa. Dai documenti ufficiali ai rapporti indipendenti, dagli studi accademici alle sentenze, emerge lo stesso dato: l’equilibrio tra potere politico e potere giudiziario si gioca oggi sul terreno dell’asilo. Ed è proprio in quella tensione che si decide se i diritti resteranno effettivi o diventeranno solo un principio astratto.