Giustizia lumaca per Impregilo. Così i possibili reati sono prescritti. La Procura generale di Milano impugna la sentenza. Sono serviti sette anni per le motivazioni dell’Appello

La Procura generale di Milano impugna la sentenza del processo Impregilo. Sono serviti sette anni per le motivazioni dell’Appello

Giustizia lumaca per Impregilo. Così i possibili reati sono prescritti. La Procura generale di Milano impugna la sentenza. Sono serviti sette anni per le motivazioni dell’Appello

Sembra incredibile ma ci sono voluti ben 7 anni per depositare le motivazioni della sentenza d’Appello bis con cui nel 2014 è stata assolta la società Impregilo, imputata per la legge sulla responsabilità amministrativa in relazione ad un’ipotesi di aggiotaggio. Si tratta di un caso davvero emblematico dei ritardi che troppo spesso interessano la giustizia italiana e che ha spinto la Procura generale di Milano, guidata da Francesca Nanni, a ricorrere in Cassazione contro quel verdetto arrivato fuori tempo massimo.

Per giunta, secondo il magistrato, la sentenza impugnata non avrebbe rispettato le indicazioni della Suprema Corte che si era pronunciata sul caso. Sostanzialmente la sentenza d’Appello bis non si sarebbe adeguata ai principi espressi dalla Cassazione che aveva annullato con rinvio ad un nuovo secondo grado l’assoluzione per la società di costruzioni, sottolineando che per escludere la configurabilità dell’illecito amministrativo degli enti, previsto dalla legge 231 del 2001, è necessario che sia dimostrata la “fraudolenta elusione” da parte degli indagati, dipendenti della società, del modello organizzativo di quest’ultima. Peccato che, nonostante 7 anni di tempo, nelle motivazioni non ci sarebbe traccia della questione.

SENZA FRETTA. A decretare il ritardo è stata una sfortunata concatenazione di eventi. Il noto e stimato giudice Piero Gamacchio che si è occupato del caso, era stato costretto a mettersi in aspettativa, poco prima della pensione, a causa di alcuni debiti non saldati con bar e ristoranti attorno al Palazzo di Giustizia e per un debito da 40 mila euro con un penalista, in gran parte ripianato per via di un decreto ingiuntivo.

Esploso il caso sui media, è stato lo stesso magistrato a confermare tutto rivelando che “quanto letto sui social e taluni media corrisponde, ahimé, alla verità” e annunciando l’intenzione di mettersi in aspettativa. Da quel momento sono passati anni in attesa delle motivazioni sul caso Impregilo che sono state depositate soltanto lo scorso aprile e che ora rischiano di riaprire la vicenda. La Procura generale infatti, a quasi 18 anni di distanza dai fatti, chiede un nuovo giudizio alla Cassazione in quanto la responsabilità amministrativa degli enti non si prescrive.

VICENDA INFINITA. Quasi undici anni fa, nell’ottobre 2010, il Tribunale di Milano aveva dichiarato “estinto il reato per intervenuta prescrizione” per gli allora vertici di Impregilo, Piergiorgio Romiti e Paolo Savona (nella foto), a cui veniva contestata l’accusa di aggiotaggio in relazione a tre comunicati diffusi al mercato tra il 30 dicembre 2002 e il 25 febbraio 2003. Nel frattempo, nel 2009 il gup Enrico Manzi e tre anni dopo pure la Corte d’Appello milanese avevano assolto Impregilo dalle accuse. Ma tutto cambia nel 2013 quando sulla vicenda interviene a piedi uniti la Cassazione ordinando un nuovo processo di secondo grado. Questo viene celebrato nel 2014 ma, senza alcun colpo di scena, si chiude con la conferma dell’assoluzione della società e la conseguente e lunga attesa delle motivazioni.