Giustizia, referendum in forse. Le firme depositate non bastano

di Vittorio Pezzuto

È stata una mattinata all’insegna della mestizia quella che ha accompagnato ieri la consegna delle firme referendarie nell’austero palazzo della Corte di Cassazione, mentre piazza Cavour apriva e richiudeva le sue quinte sotto la frusta dell’acqua. Per una volta questo rito democratico non è stato celebrato con la traboccante soddisfazione di aver assicurato al Paese un’occasione preziosa di riforma. Pochi avevano voglia di festeggiare una mobilitazione per lunghi tratti carsica così come la rivincita sulla censura della Rai, che ha costretto a una campagna clandestina. Come al termine di una lunga battaglia dall’esito incerto, i plotoni referendari provano adesso a smaltire la stanchezza e si interrogano sulle reali possibilità di un loro successo. Sanno già di aver perso la sfida delle 500mila firme sui sei referendum proposti sui temi civili (anche per il risibile rapporto degli altri co-promotori: i socialisti di Nencini, Sel e Rifondazione comunista) e almeno confidano di potercela fare su quelli dedicati alla giustizia. Sul sito ufficiale del Comitato compare soltanto il numero delle firme (533.000) raccolte per chiedere la responsabilità civile dei magistrati. «La verità – masticano amaro nel quartier generale di via Gregorio VII – è che siamo riusciti a conteggiare soltanto l’adesione a questo quesito. Non c’è stata la possibilità di controllare quanto ci è arrivato nelle ultime ore».
Va detto che anche stavolta la raccolta delle firme si è ingolfata nello stretto imbuto della burocrazia. «Si aprirà un contenzioso di tipo nuovo con la Cassazione. Di per sé le firme sarebbero sufficienti, a fare la differenza sarà la valutazione della Corte sulla loro validità» spiega il tesoriere radicale Maurizio Turco, ben deciso a far valere le ragioni dei referendari contro le inefficienze dei Comuni. Primo: molti moduli sono stati vidimati a giugno dagli uffici (e quindi al di qua dei tre mesi previsti per raccolta) ma poi le firme sono state raccolte a luglio, agosto e settembre. «I moduli erano custoditi nelle mani dello Stato, non possiamo essere ritenuti responsabili di questi errori. In una seconda spedizione del materiale avevamo tra l’altro specificato per iscritto come le firme andassero raccolte dal 1 agosto al 30 settembre. E i cittadini sono appunti andati a firmare nel periodo consentito dalla legge». Secondo: la presenza di errori formali commessi per mano dei funzionari pubblici (timbri mancanti, firme cancellate perché il sottoscrittore non risultava residente in quel Comune, trascrizione sbagliata del computo delle firme raccolte). Terzo: il mancato accompagnamento delle firme con i relativi certificati di iscrizione nelle liste elettorali. «Seguendo le disposizioni di legge – spiega ancora Turco – il Viminale ha dato disposizione che potessero essere richiesti e ricevuti in forma digitale via Pec. Peccato che una metà buona dei Comuni ha disatteso questa direttiva, tanto che nei prossimi giorni ci arriveranno migliaia di certificati cartacei ormai inutilizzabili: per legge devono infatti essere depositati contestualmente ai moduli».

Accidia e sottovalutazione
Sta di fatto che la raccolta vera e propria è iniziata solo nelle ultime tre settimane, grazie all’appoggio decisivo di Berlusconi. Pochi e accidiosi, fino ad allora i radicali non avevano combinato granché. Tanto che lo stesso Marco Pannella parla adesso di compagni «che si sentono ideologicamente radicali». Tradotto: non basta declinare compìti il rosario contro il regime, quello che conta è la teoria della prassi. Ma anche la mobilitazione del Pdl è stata largamente al di sotto delle aspettative. «La raccolta ha funzionato in Calabria, Campania e Puglia» rivela sempre Turco. «Ma pochissime sono state le adesioni nel Lazio di Beatrice Lorenzin, nella Lombardia di Lupi e soprattutto nella Sicilia del segretario nonché ex Guardasigilli Alfano. Infine, nulla è arrivato dalla Benevento di Nunzia De Girolamo. I dati sono questi. Saranno poi gli amici di Forza Italia a dover capire se si è trattato di una sottovalutazione dell’importanza della campagna oppure di un messaggio preciso mandato allo stesso Berlusconi. Certo, a vedere quanto sta accadendo in queste ore, si può forse comprendere il perché del totale disimpegno degli ormai ex ministri».