Gli affari d’oro del re dei rifiuti

di Angelo Perfetti

La leggenda metropolitana che si racconta nei corridoi della Pisana è che fosse talmente potente da aprire le porte degli assessorati con un calcio, senza appuntamento e senza farsi annunciare. Manlio Cerroni, signore incontrastato del business della mondezza, colui che il gip  Massimo Battistini, nell’ordinanza di oltre 400 pagine che parla degli episodi legati alla gestione dei rifiuti nel Lazio, definisce “il Supremo”, è stato arrestato. Diciamo la verità: nessuno avrebbe nemmeno mai osato pensare che sarebbe potuto accadere. La gestione dei rifiuti a Roma, con l’infinita emergenza della discarica di Malagrotta, era argomento troppo spinoso, sia a livello economico sia a livello politico, per anche solo pensare di operare un evento traumatico tale da ingrippare il delciato – e costosissimo – meccanismo legato alla raccolta, trattamento e smaltimento dell’immondizia.

I segnali preoccupanti
Eppure qualche segnale era arrivato. L’ultimo in ordine di tempo, ben oltre l’emergenza romana, era arrivato allorché la Lombardia non ne volle sapere di accogliere la spazzatura di Cerroni perché non era stata trattata a dovere. Quaranta tonnellate di rifiuti speciali provenienti dalla Capitale furono bloccati nella discarica Gedit di Montichiari in provincia di Brescia. I controlli della task force dell’Arpa, allertata dalla Regione Lombardia, avevano infatti  riscontrato delle difformità sospette fra i codici Cer (una sorta di carta d’identità dei rifiuti) e il materiale effettivamente trasportato da due dei quattro camion approdati a Vighizzolo (frazione di Montichiari).

Soldi e irregolarità
Nell’inchiesta che ha portato ai domiciliari Cerroni e altre sei persone, i carabinieri del Noe  hanno ricostruito una storia di documenti falsi, emergenze pilotate. Tonnellate di rifiuti destinati alla differenziata mai trattati e finiti nella discarica di Malagrotta, nonostante i proprietari dell’impianto di differenziazione incassassero diversi milioni di euro. Il “sistema Malagrotta” implicitamente permetteva di dichiarare Malagrotta in costante emergenza proprio perché, secondo l’accusa, nel conteggio delle cubature di spazzatura finivano materiale non definibile rifiuto tout court come il Cdr (combustibile da rifiuti) e ciò che poteva essere riciclato. Dunque l’emergenza fittizia di Malagrotta produceva, per l’accusa, un nuovo business al gruppo visto che le amministrazioni erano costrette a trovare nuovi siti.

L’inchiesta
Sono quattro i filoni di indagine, tutti riuniti in un unico procedimento, che hanno determinato l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per l’avvocato Manlio Cerroni (nella foto), imprenditore del settore dei rifiuti, per il socio Piero Giovi e per l’ingegner Francesco Rando, amministratore di alcune societa’ riconducibili al primo, e poi per Bruno Landi, ex presidente della Regione Lazio nonché presidente di Federlazio Ambiente, Giuseppe Sicignano, preposto all’impianto Tmb e supervisore delle attività operative del gruppo ad Albano Laziale, presso la Pontina Ambiente, Luca Fegatelli, già capo Dipartimento della Regione Lazio e Raniero De Filippis, già responsabile del Dipartimento del Territorio della Regione Lazio dal 2007 al 2010.  In tutto sono almeno 24 le persone indagate a vario titolo: si ipotizzano i reati di abuso d’ufficio e falso.

Il business dei rifiuti
Ma a quanto ammonta il giro d’affari attenzionato  dagli inquirenti? Oltre tre miliardi di euro. E’ quantificabile così il business legale in Italia che ruota attorno allo smaltimento dei rifiuti urbani, una montagna di immondizia che raggiunge i 32 milioni di tonnellate prodotte ogni anno dalle famiglie. Ma parallelamente c’e’ un altro fatturato, quello che si nasconde dietro il traffico illegale dei rifiuti speciali prodotti dall’industria e che frutta alle ecomafie intorno ai 3,1 miliardi di euro. L’impero di Cerroni ‘il Supremo’ si e’ retto su un basso costo, 50 euro a tonnellata (come peraltro avviene in Puglia o in Sicilia, affinché finisse a Malagrotta l’80% dei rifiuti di Roma. E nei 240 ettari della discarica della Capitale sono state scaricate le 4.500 tonnellate al giorno di rifiuti per 20 anni (il 90% dei rifiuti urbani); in Calabria e Puglia in discarica finisce l’80%. Con la chiusura di Malagrotta il primo ottobre scorso, Roma paga il doppio, cento euro a tonnellata, per mandare i rifiuti soprattutto in Piemonte e in Emilia Romagna, visto che manca un altro sito sul territorio comunale, anche per le proteste dei residenti delle zone ipotizzate.

Emergenza costruita ad arte

Così l’avvocato gestiva Roma

La truffa posta in essere da Manlio Cerroni, le società a lui riferibili ed i manager finiti agli arresti domiciliari, ruota intorno alla quota di Cdr, il cosiddetto combustibile derivato dai rifiuti destinato al recupero energetico in impianti di termovalorizzazione. Il gip Battistini nell’ordinanza sottolinea che “il doloso avvio a termovalorizzazione di un quantitativo di Cdr inferiore a quello dichiarato e la consapevole e volontaria diposizione di un incremento autodeterminato della tariffa verso gli enti territoriali conferitori dei rifiuti integrano gli elementi soggettivo e oggettivo richiesti per il delitto” di frode in pubbliche forniture. In sostanza, si prendevano soldi per trattare i rifiuti che, invece, venivano scaricati nella discarica come indifferenziata. E la discarica, cos’ facendo, pian piano si è pure esaurita.

Guadagni illeciti
Dal 2006 Manlio Cerroni avrebbe così illecitamente guadagnato 11 milioni di euro grazie a un ‘trucco’ intorno alla gestione dell’impianto di raccolta e trattamento dei rifiuti di Albano Laziale. E altri 8 milioni di euro (quasi 19 milioni infatti i beni sequestrati per equivalente nell’operazione di ieri) sarebbero invece legati alla questione di Monti dell’Ortaccio. Il gruppo di Cerroni, inoltre, a Monti dell’Ortaccio ha realizzato l’invaso di una futura discarica (circa 3 milioni di metri cubi), “ponendo così in essere- si legge ancora nell’ordinanza- una incisiva trasformazione urbanistica, smaltendo poi le rocce e terre da scavo (da qualificarsi come rifiuti) all’interno della discarica di Malagrotta, simulando l’esistenza di titoli autorizzativi di fatto inesistenti. Questa operazione ha generato un profitto per le casse della E. Giovi stimato in non meno di 8 milioni di euro”.

Un meccanismo oliato
Secondo l’accusa, l’avvocato eanto importante e scaltro da poter creare un’emergenza rifiuti fittizia a Roma per prorogare all’infinito Malagrotta e intanto progettare già la nuova discarica, a Monti dell’Ortaccio, sempre su suoi terreni. E sempre con la stessa tecnica, secondo l’accusa: si apre un sito con autorizzazioni provvisorie, si crea il fatto compiuto e poi si costringono gli enti competenti a formalizzare la discarica, paventando catastrofi ecologiche. Cerroni negli ultimi anni andava dicendo di aver salvato Roma grazie a Malagrotta. Mesi fa, mentre si avvicinava la chiusura definitiva del sito ‘monstre’, comprava pagine intere sui principali quotidiani per difendere la sua creatura ormai satura e definirsi “benefattore”. Cerroni cercava un delfino a cui affidare il suo impero. Mise gli occhi sull’ex assessore di centrosinistra del Lazio Mario Di Carlo, morto nel 2011. Di Carlo fu costretto a lasciare la delega ai rifiuti dopo un fuorionda ormai famoso del programma tv Report nel 2008 dove si descriveva in maniera colorita di un rapporto molto stretto con Cerroni. Venuto a mancare Di Carlo, Cerroni si scelse “un altro referente politico”, si legge nell’ordinanza, ovvero Luca Fegatelli, giovane dirigente della Regione Lazio anche lui arrestato. Insomma ‘il Supremo’ – come lo chiamano in alcune telefonate intercettate gli indagati – l’uomo che si paragonava al Po, “che ha fatto la fortuna di tante famiglie, poi si è incazzato e ha fatto pulizia”, non si perdeva mai d’animo. Neanche dopo il post Malagrotta. Tesseva rapporti (quelli con i politici sono al vaglio dei magistrati) e soprattutto affari. Ma per i pubblici ministeri in quegli affari c’è un forte odore di truffa.

Coinvolto anche Marrazzo
L’elenco degli indagati comprende nomi eccellenti come quello dell’ex Governatore del Lazio Piero Marrazzo, accusato di abuso d’ufficio e falso in relazione all’emanazione, nel 2008, di un’ordinanza che consentiva al consorzio Coema di Cerroni di avviare la realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione di Albano. Tra gli indagati anche l’ex assessore Pd in Campidoglio Giovanni Hermanin e Romano Giovannetti, già capo di segreteria dell’assessore alle Attivita’ Produttive Pietro di Paolantonio (accusati di associazione per delinquere). Per il gip Battistini quelli contestati sono “fatti di inaudita gravità.

 

Lo Stato è piegato a Cerroni. Ecco il sistema del Supremo

di Clemente Pistilli

L’avvocato arrestato detta legge nel Lazio. E sui rifiuti ha avuto agganci in Parlamento

Padrone della Regione, per anni addirittura socio del Comune con un piede in Provincia. E come se tutto questo non bastasse pure abbastanza forte da parlare direttamente con i parlamentari, presentare richieste e, perché no, magari distribuire anche un finanziamento. Sempre gradito. Un vero e proprio assopigliatutto. Sarà per questo che collaboratori e amici chiamano Manlio Cerroni “Il Supremo”. Le ragioni le spiega bene il gip Massimo Battistini nella voluminosa ordinanza di custodia cautelare con cui giovedì scorso ha fatto finire ai domiciliari il signore dei rifiuti e altri sei indagati. L’Antimafia capitolina si è messa in testa di togliere la corona a quello che viene definito l’ottavo re di Roma, di farlo ponendolo al vertice di un’associazione per delinquere finalizzata a fare affari, sporchi come la merce che tratta, con i rifiuti. E i carabinieri del Noe non si sono tirati indietro, mettendo sotto il microscopio tanto i rapporti dell’avvocato con l’uomo della strada quanto e soprattutto quelli con i potenti.

La rete del potere Secondo gli inquirenti Cerroni, monopolizzando la gestione dei rifiuti nel Lazio e allargando poi gli affari a mezza Italia, è riuscito a costruire un impero soprattutto sfruttando l’emergenza. Quando le città rischiano di finire sommerse dalla spazzatura è più facile dribblare le norme. Arrivano i commissari. I poteri straordinari. E nessuno può permettersi di far sprofondare Roma nella cloaca massima. Per evitare che vengano trovate soluzioni e si finisca sempre col mettere una toppa, garantendo così gli affari, è però necessario avere una sponda nella pubblica amministrazione. Cerroni sarebbe così riuscito nell’impresa soprattutto diventando padrone della Regione Lazio. Un particolare che ha fatto finire ai domiciliari anche due dei funzionari più potenti della Pisana: Luca Fegatelli e Raniero Vincenzo De Filippis. Quelli che sono rimasti sempre in sella nonostante al timone dell’ente si alternassero destra e sinistra. Poi blindati anche il Campidoglio e Palazzo Valentini. Il giudice Battistini non ha dubbi: “Il presente procedimento ha consentito di accertare l’esistenza di un’imponente struttura informale in grado di condizionare in modo molto significativo l’attività amministrativa degli enti preposti alla disciplina e al controllo in materia di rifiuti e almeno in parte quella politica”. Ecco così che tra gli indagati, sempre per provvedimenti che avrebbero consentito a Cerroni di ampliare il suo business, compaiono anche l’ex presidente della Regione Lazio, Pietro Marrazzo, il politico Giovanni Hermanin, il capo segreteria dell’allora assessore regionale Di Paolantonio, Romano Giovannetti, e la dipendente regionale Giovanna Bargagna. Senza contare che un altro ex presidente della Regione, Bruno Landi, è stato anche lui arrestato.

Norme ad personam La potenza del “Supremo”, secondo gli inquirenti, è però tale da riuscire a contattare e a perorare la sua causa anche direttamente con i parlamentari. Quello che gli investigatori ritengono sia accaduto nel 2008 con l’impianto di trattamento rifiuti di Albano. A Cerroni non andava giù che l’inceneritore che voleva costruire non ottenesse finanziamenti. Da lì gli incontri con esponenti di primo piano del centrosinistra, quello che sembra aver dato di più all’avvocato. Il signore dei rifiuti si sarebbe incontrato con l’ex ministro Giuseppe Fioroni, con l’attuale presidente della commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, e con l’ex ministro Edo Ronchi, di recente nominato subcommissario per il risanamento dell’Ilva. A quest’ultimo Cerroni ha anche dato un contributo economico per la fondazione Sviluppo sostenibile, la onlus finalizzata a sviluppare la green economy. La legge poi approvata ha garantito finanziamenti per tutti gli inceneritori delle Regioni commissariate per i rifiuti. Lazio (e Albano) compreso.

 

Da quaranta anni c’è un uomo solo al comando

di Antonio Rossi

Dalle olimpiadi del 1960 al Giubileo, fino al terzo millennio. Passano sindaci e papi, comuni e governi. Ma a Roma Cerroni non passa mai. Da 40 anni, 43 per l’esattezza, il Supremo è in affari e fa affari con la sporcizia della capitale. Sempre lui. Sempre al comando. Perché? L’Antimafia ha un’idea e l’ha messa nero su bianco nella montagna di atti che hanno portato all’arresto dell’avvocato giovedì scorso. Qualche spiegazione tanto lui quanto gli altri arrestati potranno fornirla la settimana prossima al gip, durante gli interrogatori.

Ormai è storia Per far luce sull’impero di Manlio Cerroni, il gip Massimo Battistini è partito dal 1960, dall’anno in cui il Campidoglio, in vista delle olimpiadi, assegna un appalto per il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti, affidandolo a quattro società, “tutte attratte nell’orbita di Cerroni”. Tra una proroga e l’altra, nel 1970 “Il Supremo” continua l’affare diventando socio della stessa pubblica amministrazione. La monnezza finisce nelle mani della Sogein, controllata per il 67% dall’Acea e per la parte restante dalla Sorain Cecchini di Cerroni e dalla Slia di Aurelio Merlo, poi attratta dall’avvocato. La società fallisce nel 1986, ma non fallisce il signore dei rifiuti. Con il Colari e con il Ctr, con la Giovi e altre società, con Malagrotta soprattutto, lui va avanti. Non ha problemi a trovare soci di livello. Li trova anche per Albano, dove nell’affare Coema entrano Acea e Ama. Voleva tirare dritto anche dopo la chiusura della maxi discarica, ma sono poi arrivati i carabinieri del Noe.

Sospetti di avvelenamenti Forse Malagrotta ha avvelenato le falde acquifere. Anche in questo caso però, per l’Antimafia, Cerroni ha trovato la soluzione. Le prime indagini si erano erano arenate. Per l’Arpalazio era tutto ok. Gli investigatori sospettano che la realtà possa essere ben diversa. Al vertice dell’Arpalazio era infatti arrivato Fabio Ermolli, ora anche lui indagato. Un dirigente che nello stesso periodo lavorava, e lo faceva da tempo, come direttore tecnico di una discarica in provincia di Brescia, gestita dalla Systema Ambiente srl. Il dominus di quella società? Sempre lo stesso, sempre Cerroni. Abbastanza, secondo gli inquirenti, per dubitare dei controlli a Roma.