Si chiude il caso dell’omicidio di Willy a Colleferro. Ai fratelli Bianchi i giudici hanno inflitto l’ergastolo

Gli insulti, poi gli spintoni e quindi il pestaggio di Willy. Condannati all'ergastolo i fratelli Bianchi accusati di omicidio volontario

Si chiude il caso dell’omicidio di Willy a Colleferro. Ai fratelli Bianchi i giudici hanno inflitto l’ergastolo

Gli insulti, poi gli spintoni e infine i calci e i pugni che hanno messo fine alla vita di Willy Monteiro Duarte. Un folle pestaggio su cui, a distanza di un anno e dieci mesi dai fatti, la Corte d’Assise di Frosinone, presieduta dal giudice Francesco Mancini, ha emesso un primo verdetto condannando all’ergastolo i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, mentre per Francesco Belleggia sono stati inflitti 23 anni di reclusione e per Mario Pincarelli la condanna è stata a 21 anni.

Disposta dai giudici anche una provvisionale di 200mila euro ognuno per i genitori della vittima e 150mila euro alla famiglia.

Gli insulti, poi gli spintoni e alla fine le condanne all’ergastolo inflitte ai fratelli Bianchi

A tutti loro la Procura di Velletri contestava il reato di omicidio volontario per aver massacrato Willy la notte tra il 5 e il 6 settembre 2020 in una piazza di Colleferro. Una sentenza che, sia dentro l’aula che fuori di essa, è stata accompagnata da scroscianti applausi da parte dei parenti e degli amici della giovane vittima.

La surreale vicenda che ha visto protagonisti i due fratelli, esperti dell’arte marziale Mma, è iniziata con una banale lite tra il loro amico Belleggia e alcuni ragazzi della comitiva di cui faceva parte lo stesso Willy. Con gli animi che si scaldarono per un non nulla e complice qualche bicchiere di troppo, la tensione era ormai arrivata ben oltre il livello di guardia.

Per questo parte una telefonata per chiedere ai fratelli Bianchi di precipitarsi sul posto e aiutarli a gestire la situazione. Come ricostruito dai pubblici ministeri Francesco Brando e Giovanni Taglialatela durante la loro requisitoria, il pestaggio del giovane fu brutale e rapido. “Un’azione del tutto spropositata” e “aggressiva con esiti letali” ha spiegato in aula l’accusa. Un pestaggio che, sottolineavano i pm, è avvenuto in un quadro di violenza “così banale che si può definire come privo di alcun movente”.

“L’azione è partita da Marco e Gabriele Bianchi ma poi si salda con quella di Belleggia e Pincarelli e diventando una azione unitaria. Quello che è successo a Willy poteva capitare a chiunque altro si fosse trovato di fronte” al branco. Un ruolo centrale nella requisitoria ha avuto anche la conoscenza della Mma da parte dei fratelli Bianchi. Una tecnica che è stata utilizzata come arma per “annientare il contendente” e di “farlo senza considerare le conseguenze dei colpi”.

La richiesta disperata

Con il procedere dell’indagine, nelle carte dell’inchiesta sono finiti dettagli a dir poco sconcertanti. Dopo le surreali difese dei fratelli Bianchi che davanti ai magistrati hanno raccontato di essere stati chiamati da alcuni amici mentre stavano consumando un rapporto vicino al cimitero con tre ragazze, di cui hanno detto di non ricordare i nomi, successivamente era trapelato l’audio della prima chiamata al 112 in cui era evidente l’estrema gravità della situazione.

“Qui di fronte al Duedipicche (un locale della zona, ndr) c’è un ragazzo che è stato menato. Per favore, potete venire?”, inizia così la telefonata di uno dei ragazzi presenti quella notte mentre Willy era già a terra in condizioni ormai critiche. A rispondere era stata un’operatrice: “Senta, in che comune?”. “Colleferro, Colleferro, di fronte al Duedipicche” gridava il ragazzo in evidente stato di shock.

“Via?” lo incalzava l’operatrice. “Non la so la via, di fronte alla vecchia (…)” risponde il giovane con la donna che lo ferma: “Aspetti, Duedipicche mi ha detto? Ma cos’è un locale?”. “Sì esatto, è un locale, è un bar. Per favore veloci, è urgente” spiega l’amico di Willy rispondendo alla richiesta dell’operatrice che chiedeva se servisse anche un’ambulanza. Da quel momento è iniziata una corsa contro il tempo da parte dei soccorritori ma che, come noto, non è stata sufficiente per salvare la vita al giovane ragazzo.