Governo appeso a un filo

di Vittorio Pezzuto

“Sono rimasto sorpreso da un atto così irrituale. E non conosco quale ratio abbia presidiato a questo incontro». Sull’imprevista salita al Colle di Silvio Berlusconi altro non vuole aggiungere Giuliano Urbani, rifiutandosi così di infittire ulteriormente la boscaglia delle dietrologie. Al professore che vent’anni or sono cofondò Forza Italia, chiediamo se Napolitano non avrebbe fatto meglio a nominare a suo tempo senatori a vita sia Romano Prodi sia lo stesso Berlusconi. «Non ci ho mai pensato… Però forse così si sarebbe chiusa questa guerra civile strisciante. Anche queste ridicolissime larghe intese non si sono prodotte sulla necessità di cooperare su risultati comuni da ottenere, è rimasta una roba tattico-strumentale e quindi inutile».
Verdini intanto si è incontrato con Renzi…
«Non è una notizia, si vedono dappertutto… Sperano e cercano di fare cose di comune interesse. Auguri, auguri, auguri».
Anche perché, senza il sostegno del Cav il premier va a sbattere.
«Vero. Tra Berlusconi e Renzi, è quest’ultimo che sta promettendo, e la gente si aspetta che passi all’azione. È lui di gran lunga il più esposto. Per il Pd il renzismo è sinonimo di vincerismo: lo hanno scelto nella speranza di evitare nuove sconfitte. Se ce la fa, evviva. Se non ce la fa, chi l’ha ostacolato verrà additato al Paese come il responsabile del fallimento e rischia comunque grosso».
Renzi dice di volersi giocare tutto sulle riforme. Perché Berlusconi non lo ha mai fatto?
«Domanda pertinentissima. Le rispondo che non lo so. Poteva rivolgersi direttamente agli italiani e invece si è ritrovato sempre più prigionieri dei suoi alleati. Comunque qui parla di corda in casa dell’impiccato: me ne andai via nel 2005 proprio perché non voleva sconfessare pubblicamente le resistenze che gli opponeva l’allora vicepremier Follini. Non se l’è sentita e credo che se ne sia molto pentito».
Che tipo di Forza Italia immagina nel futuro?
«Quel partito non è possibile senza Berlusconi non è possibile. Non potrà candidarsi? Non importa. La sua forza politica non consiste nei voti raccolti di volta in volta ma nel consenso che ottiene in termini simbolici. È la regola del bipolarismo: gode di consensi sia diretti sia derivanti dall’ostilità al suo avversario di turno. È un po’ come in una partita a tennis: i punti li fai se giochi bene ma anche se l’avversario tira fuori la palla. Per questo anche stavolta l’esito delle elezioni europee continuerà a dipendere dal modo in cui saprà esercitare la sua influenza di leader e a secondo di come gli elettori sapranno percepirla. A fare la differenza sarà insomma la presenza/assenza dei suoi argomenti politici, non certo la presenza/assenza del suo nome nella lista dei candidati».
La classe dirigente che negli anni si è sedimentata intorno a lui sarà in grado di supportare questa nuova sfida?
«Guardi che da sempre la forza elettorale di Forza Italia consiste e si esaurisce nel solo Berlusconi. Punto. Mi dispiace essere franco al limite della ferocia nei confronti di tanti amici, ma la verità nuda e cruda è proprio questa. Ho sempre pensato che l’organizzazione elettorale ci abbia fatto perdere ogni volta almeno il 5 per cento dei consensi. La struttura del partito e la conseguente nascita di vari potentati locali ha sempre allontanato gli elettori. In tutti questi anni chi si è avvicinato a Forza Italia perché attratto dal modello Berlusconi ha dovuto assistere a diatribe a livello regionale e provinciale. Logico che si disamorasse e se ne andasse via chiedendosi: “Ma io che c’entro con questi personaggi?”».
E se il Nuovo centrodestra non dovesse superare il 4% dei voti?
«Mah, quello delle Europee è tradizionalmente un sondaggio d’opinione, rilevante ma non decisivo. Un contemporaneo insuccesso di Ncd e di FI potrebbe semmai indurre tutti a una maggiore ragionevolezza. Potrà sembrare paradossale che una sconfitta porti in dote l’unità di tutto il centrodestra, eppure potrebbe andare a finire proprio in questo modo».