Grandi infrastrutture, così i sistemi di potere azzoppano il Paese. Alessandra Necci ricorda il caso Tav: Opera che lo Stato doveva strapagare

Grandi infrastrutture, così i sistemi di potere azzoppano il Paese. Alessandra Necci ricorda il caso Tav: Opera che lo Stato doveva strapagare

I Lavori pubblici nella bufera sono l’emblema di un Paese che non ha capito il valore delle infrastrutture. L’antica Roma non sarebbe diventata impero senza il suo sistema di strade e porti commerciali. Eppure ancora fatichiamo a capire che l’Italia non decollerà senza infrastrutture materiali e immateriali all’altezza dei tempi. Per Alessandra Necci, figlia del manager che per primo immaginò la rete ferroviaria ad alta velocità, il caso che ha portato all’arresto del super consulente Ercole Incalza e alle dimissioni del ministro Maurizio Lupi mostra un problema più grave dell’aspetto giudiziario: sulle reti questo Paese ha perso e continua a perdere grandi occasioni. Ma Lorenzo Necci non sarebbe orgoglioso della Tav? “Il suo progetto era diverso”, spiega a La Notizia la figlia dell’ex numero uno delle Ferrovie, scomparso tragicamente nel 2006.

COSTI FOLLI
“L’alta velocità che si aveva in mente già venti anni fa – dice la Necci – era molto diversa da quella che poi si è realizzata. Intanto nei costi e nella sostenibilità finanziaria. Il progetto originale prevedeva un ben diverso impegno da parte dei privati, con Mediobanca a fare da garante di un investimento che doveva pesare pochissimo sul bilancio dello Stato”. Quando paga Pantalone è chiaro che gli appetiti sono tanti. “Certo – ammette la Necci, ricordando le pressioni sul padre e poi il modo con cui il sistema lo fece fuori, eliminando per via giudiziaria (poi rivelatasi un polverone) chi si opponeva a un modello che gli italiani hanno pagato una tombola. Incalza però era uno dei collaboratori più vicini a Lorenzo Necci. “Non mi permetto di giudicare le vicende di questi giorni – taglia corto la Necci – ma il sistema attuale non ha nulla a che vedere con il progetto di Lorenzo Necci. Nulla a che vedere nei costi, nulla a che vedere nella gestione che già all’epoca si immaginava direttamente attribuita alla Tav (e non al ministero) e nulla a che vedere nella realizzazione”. I Frecciarossa sono uno schianto. Perché Lorenzo Necci li avrebbe voluti diversi? “Perché quel modello di Alta velocità ferroviaria – spiega – non puntava solo al trasporto dei viaggiatori, ma anche alle merci. Senza contare che prevedeva di quadruplicare le reti, in un progetto complessivo dove si collegavano strade, autostrade, porti e aeroporti”.

TRADIMENTO
Di tutto questo non abbiamo visto niente. Ma lo Stato ha pagato carissimo. “Certo. E anche Lorenzo Necci pagò carissimo”, dice la figlia, forse non a caso da pochi giorni in libreria con un romanzo (Il diavolo zoppo e il suo compare, Marsilio) dedicato a Talleyrand, Fouché e la politica del tradimento. Chi tradì Lorenzo Necci? “Quel sistema – afferma – che aveva bisogno di non trovare ostacoli. Con il capovolgimento del progetto sull’Alta velocità, Fs comprò dalle banche il capitale della Tav, liberandole da ogni impegno sui versamenti passati e futuri. Così si dissolse il finanziamento già concesso da quaranta istituti. La Tav divenne dunque una società a capitale interamente pubblico e lo Stato dovette consolidare interamente il relativo debito. I criteri di realizzazione dell’opera furono normalizzati”. Ce n’è abbastanza per capire come mai sulle opere pubbliche il Paese è rimasto tanto indietro. E come i sistemi di potere muovano le fila. Oggi come allora.