Ursula von der Leyen annuncia che le regole ambientali dell’Unione europea saranno semplificate. Semplificare del resto è una parola rassicurante, che suona bene nei comunicati stampa e nei discorsi elettorali. Ma dietro secondo molti c’è il rischio di una retromarcia studiata con cura.
La Commissione europea ha lanciato la “Bussola della competitività”, un piano per “snellire” – dicono – le norme e ridurre la burocrazia che, secondo Bruxelles, ostacola la crescita delle imprese. La presidente della Commissione lo dice con la consueta compostezza, parlando di equilibrio tra sostenibilità e sviluppo economico. Ma per molti, la vera posta in gioco è un’altra: allargare le maglie delle regole ambientali per far respirare le industrie che da anni spingono per una deregulation.
La promessa della semplificazione arriva proprio quando il Partito popolare europeo (Ppe), la famiglia politica di von der Leyen, si sposta sempre più a destra nel tentativo di arginare l’ascesa dell’estrema destra in vista delle elezioni europee di giugno. I segnali erano già evidenti: il Ppe ha difeso fino all’ultimo i motori a combustione interna, ha rallentato l’approvazione di norme chiave del Green Deal e ha spalancato la porta ai biocarburanti, pur di assecondare l’industria automobilistica. Adesso il messaggio è ancora più chiaro: si ridimensiona la transizione ecologica per non perdere consensi tra imprenditori e agricoltori.
I punti chiave della retromarcia
Von der Leyen assicura che le regole ambientali non verranno smantellate, ma solo rese più efficienti. Gli ambientalisti però leggono tra le righe e vedono un’altra storia. Martin Porter, esperto del Cambridge Institute for Sustainability Leadership, parla di un rischio concreto: “Se si riducono gli obblighi di trasparenza per le aziende, il rischio è che torniamo a un modello in cui le imprese possono dichiarare quello che vogliono senza conseguenze”.
Il primo obiettivo della semplificazione riguarda la Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità aziendale (CSRD) e la Direttiva sulla due diligence di sostenibilità aziendale (CSDDD). Due leggi che obbligano le aziende a rendere pubblici i loro impatti ambientali e a verificare che i loro fornitori rispettino standard di sostenibilità. Queste norme sono entrate in vigore da pochi mesi e già si parla di modificarle. Chi ci guadagna? Le multinazionali che hanno sempre mal digerito l’obbligo di trasparenza.
La Francia ha già avanzato una proposta che sa di campanello d’allarme: una “pausa regolatoria” su diverse normative ambientali, per dare respiro alle imprese. Lo stesso concetto che sposa la Commissione europea con la sua nuova agenda. A chi conviene questa frenata? A chi ha sempre visto il Green Deal come un freno alla competitività, e ora trova nella retorica della semplificazione il pretesto perfetto per indebolirlo.
Una resa politica in piena regola
La mossa del resto ha una tempistica perfetta. Da mesi, settori industriali e governi come quello francese e tedesco chiedono di rallentare la transizione ecologica. Markus Beyrer, direttore di BusinessEurope, la principale lobby industriale europea, ha dichiarato che “Le aziende europee stanno perdendo competitività a causa della troppa regolamentazione”. Tradotto: meno vincoli e più libertà per chi vuole inquinare senza seccature.
Von der Leyen ha costruito la sua immagine di leader europea sulla promessa di un’Europa guida della transizione ecologica. Da la sua Commissione ha abbracciato un ripensamento strategico che rischia di ridurre il Green Deal a un esercizio di stile. Gli obiettivi climatici rimarranno sulla carta, ma i mezzi per raggiungerli saranno sempre più labili.
Se la strategia è quella di snellire fino a svuotare, il rischio è che la “semplificazione” diventi la scusa perfetta per tornare ai vecchi schemi: meno vincoli, più concessioni e un’Europa sempre meno verde.