Grillo ordina il dietrofront: la clandestinità resti un reato. Prima festeggia il successo dei sue due senatori poi accoglie le proteste della base e li sconfessa

di Vittorio Pezzuto

Andata e ritorno in un post. Tutto in una notte. Sull’abolizione del reato di clandestinità a Beppe Grillo sono bastate poche ore per decidersi a un clamoroso dietrofront e sfilacciare il già consunto rapporto con i suoi gruppi parlamentari. E dire che l’approvazione, l’altra sera in Commissione Giustizia, dell’emendamento Buccarella-Cioffi poteva essere festeggiato (e da tutti riconosciuto) come il primo vero successo politico colto dalle truppe pentastellate. E invece no. Nell’ex comico ancora una volta è scattato l’istinto del bastian contrario a tutti i costi, della critica serrata a ogni provvedimento che abbia sentore anche lontano di combine con il Pdl e il “Pdmenoelle”. Per capire come sono andate le cose non occorre essere retroscenisti dalla fervida immaginazione: è sufficiente compulsare le pagine del blog che ha fondato con l’enigmatico Gianroberto Casaleggio.

Cronologia di una giravolta
È successo che i due senatori Andrea Cioffi e Maurizio Buccarella abbiano mandato alle agenzie una nota in cui spiegavano il significato dell’emendamento appena approvato: «Il reato di clandestinità non ha risolto nulla aggravando solo i costi per la Giustizia, con meno sicurezza per le strade, senza combattere il fenomeno e lo sfruttamento legato a quest’ultimo, addirittura aggravandolo». Pochi minuti dopo il comunicato, firmato “M5S Senato”, veniva ripreso nell’home page del sito del leader, che così salutava il loro successo: «Da oggi le espulsioni dei clandestini sono più semplici». Immaginate quindi la sorpresa degli interessati quando ieri mattina Casaleggio e Grillo emanavano a mezzo web la loro scomunica: «Ieri è passato l’emendamento di due portavoce senatori del MoVimento 5 Stelle sull’abolizione del reato di clandestinità. La loro posizione espressa in Commissione Giustizia è del tutto personale. Non è stata discussa in assemblea con gli altri senatori del M5S, non faceva parte del Programma votato da otto milioni e mezzo di elettori, non è mai stata sottoposta ad alcuna verifica formale all’interno. Non siamo d’accordo sia nel metodo che nel merito». Scagliandosi a freddo contro i due frastornati grillini, leader e guru precisavano infatti che «un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante su un problema molto sentito a livello sociale senza consultarsi con nessuno. Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo. Se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità – presente in Paesi come la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti – il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico. Sostituirsi all’opinione pubblica, alla volontà popolare è la pratica comune dei partiti che vogliono ‘educare’ i cittadini, ma non è la nostra. Il M5S e i cittadini che ne fanno parte e che lo hanno votato sono un’unica entità».
Non era certo casuale il richiamo etnico all’appartenenza di un’unica comunità e allo strampalato e sfiancante unanimismo che dovrebbe governare le scelte dei gruppi parlamentari. A consigliare Grillo e Casaleggio alla precipitosa retromarcia erano stati infatti i numerosi messaggi di protesta che nottetempo si erano sedimentati in calce al comunicato Buccarella-Cioffi. Facendo così riesplodere nel Movimento l’insanabile conflitto tra eletti in continuo apprendistato istituzionale e una base magmatica di writers tanto malmostosi quanto incontentabili. Da qui un dietrofront anche nel merito della questione: «Questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia. Il messaggio che riceveranno sarà da loro interpretato nel modo più semplice “La clandestinità non è più un reato”. Lampedusa è al collasso e l’Italia non sta tanto bene. Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?». La domanda retorica non ha evitato la replica piccata di Buccarella e Cioffi: «Noi pensiamo di aver svolto il nostro lavoro al meglio e non pensiamo di aver commesso errori». Una convinzione condivisa anche da molti altri loro colleghi, che tornano a lamentare la perdurante assenza del leader. A zittirli ha provato la capogruppo al Senato Paola Taverna, annunciando il silenzio stampa in attesa del salvifico chiarimento interno. Proprio quello che accade quando una squadra di giocatori inesperti stenta a seguire le indicazioni dell’allenatore, annaspando in fondo della classifica.