Più che al consolidamento della pace, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sembra deciso ad alzare la tensione con Hamas a suon di ultimatum e minacce. Ormai, infatti, non passa giorno senza che, con dichiarazioni di fuoco, il leader di Tel Aviv non paventi la possibile ripresa delle ostilità nella Striscia di Gaza. È accaduto già nel primo giorno del cessate il fuoco, quando ha tuonato contro i ritardi del movimento terroristico palestinese nella riconsegna delle salme degli ostaggi caduti in questi due anni di brutale guerra, ignorando che a causarli – come va ripetendo il gruppo palestinese – è la devastazione totale della Striscia di Gaza. È successo di nuovo ieri, quando ha dichiarato che “se Hamas non accetterà di disarmarsi, si scatenerà l’inferno”.
Del resto, come ribadito ancora ieri alla rete statunitense CBS, per Bibi “la pace si conquista con la forza”, aggiungendo che la guerra nell’enclave palestinese è “un’opportunità da cogliere per fare la pace con molti, molti altri Paesi”, così da offrire “il dono più grande che possiamo fare al popolo di Israele, al popolo della regione e al mondo intero”.
Nella stessa intervista ha ulteriormente affermato che “l’organizzazione terroristica Hamas è tenuta a rispettare i suoi impegni con i mediatori e a restituire i corpi degli ostaggi come previsto dall’attuazione dell’accordo. Non scenderemo a compromessi su questo punto e non risparmieremo alcuno sforzo finché non restituiremo tutti gli ostaggi caduti, fino all’ultimo”.
La risposta di Hamas a Netanyahu
Alle accuse ha replicato il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, sostenendo che il gruppo armato sta rispettando i propri impegni di restituire i corpi dei soldati presi in ostaggio. Ha inoltre annunciato l’avvenuta conferma di quattro salme nella mattinata di ieri – una delle quali, però, è risultata appartenere a un palestinese e non a un ostaggio israeliano, scatenando l’ira del governo di Tel Aviv – a cui ha fatto seguito un’ulteriore consegna di altri quattro caduti nel tardo pomeriggio.
Ma non è tutto. A dimostrazione della volontà del movimento palestinese di mantenere questa fragile tregua, e rispondendo all’ultimo appello di Netanyahu, Hamas avrebbe espresso la propria disponibilità “a consegnare le armi pesanti” a un’entità palestinese o araba, aggiungendo però – come riporta Axios, citando un funzionario statunitense informato sui fatti – che non acconsentirà mai al disarmo totale, poiché il gruppo intende “conservare le armi leggere per compiti di autodifesa”.
Incidenti e provocazioni fanno vacillare la tregua a Gaza
Dopo la consegna delle otto salme, sulle 28 che fino a ieri risultavano ancora in mano ai palestinesi, il governo Netanyahu ha annunciato la limitazione degli aiuti umanitari e la chiusura del valico di frontiera di Rafah, tra Gaza ed Egitto. Una decisione che, con ogni probabilità, verrà attuata in giornata e che era già stata imposta martedì proprio a causa della mancata restituzione dei cadaveri.
Qualcuno potrebbe pensare che finalmente la situazione, pur tra inevitabili ritardi, sia in via di risoluzione, ma così non è. A creare nuove tensioni nell’area ci ha pensato il ministro delle Finanze israeliano e leader dell’estrema destra, Bezalel Smotrich, che ha promesso che “ci saranno insediamenti ebraici a Gaza”, nonostante l’accordo di cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti non preveda tali piani. “Non ci sarà Hamas a Gaza, nessuna minaccia per i civili israeliani per decenni. Ci saranno insediamenti ebraici a Gaza, perché senza insediamenti a lungo termine non c’è sicurezza”.
Parole condannate dal movimento palestinese, convinto che facciano parte di una strategia per causare incidenti in grado di far saltare il cessate il fuoco.
A complicare ulteriormente la situazione ci sono anche episodi di presunte violazioni dell’accordo di pace – voluto dal presidente americano Donald Trump – da parte dell’esercito israeliano (IDF). Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa WAFA, due palestinesi sono stati uccisi dai militari israeliani nel quartiere di Shejaiya, nella parte orientale di Gaza City, e un altro civile di 57 anni è morto dopo essere stato picchiato dalle forze israeliane nella città di al-Ram, a nord di Gerusalemme.
Una nuova scia di sangue che ha scatenato le proteste di Hamas, secondo cui è in atto un tentativo di sabotare la tregua, a cui l’IDF ha risposto sostenendo, come di consueto, che i bersagli erano miliziani appartenenti al gruppo terroristico palestinese.