I derivati del Piemonte mandano in tilt anche i giudici

di Clemente Pistilli

Il caos creato dalla regione Piemonte con i derivati è tale che ha mandato in tilt anche i giudici. Dopo essersi visto condannare dai magistrati inglesi a pagare 36 milioni di euro di arretrati alle banche e confermare i contestati contratti sugli strumenti finanziari, le ultime speranze l’ente presieduto dal leghista Roberto Cota le ha riposte nel Consiglio di Stato, che se dovesse stabilire la competenza in materia dei giudici amministrativi potrebbe evitare il salasso. Il caso è però talmente intricato che alla fine i giudici di Palazzo Spada hanno deciso di non decidere e rimettere la valutazione all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, quella a cui spetta l’ultima parola sul da farsi nelle vicende più spinose. I derivati sono strumenti rischiosi, con i quali si cerca di fare affari scommettendo sulle variazioni del mercato. Tali prodotti hanno messo in crisi Comuni e Regioni. Utilizzati secondo gli esperti per coprire i buchi di bilancio, i derivati hanno prodotto voragini e, sfuggita di mano la situazione, i pubblici amministratori hanno cercato tutti i cavilli possibili per annullare i contratti. Una delle situazioni più pesanti è appunto quella del Piemonte dove, nel 2006, la giunta di centrosinistra presieduta da Mercedes Bresso decise di emettere due prestiti obbligazionari, uno del valore nominale di 1,8 miliardi di euro e l’altro di 56 milioni, aggiungendo i derivati per “tutelarsi” dalle fluttuazioni del mercato. Insediatosi in Regione il centrodestra e visti gli alti interessi che l’ente doveva pagare agli istituti di credito, la giunta Cota nel 2011 ha annullato d’ufficio il contratto sui derivati, sostenendo che gli istituti di credito, al momento della stipula, avevano tratto in inganno l’ente pubblico. Le banche hanno fatto ricorso al Tar del Piemonte, che si è dichiarato incompetente a favore del giudice civile inglese. Mentre con la “Merryl Linch” la Regione ha trovato un accordo e chiuso la partita con il pagamento di 20 milioni, Intesa San Paolo e Dexia hanno ottenuto una pronuncia a loro favorevole dall’High Court of Justice di Londra a luglio e confermata in appello a settembre. La giustificazione dei piemontesi? “I contratti firmati erano scritti in inglese e chi li ha esaminati non conosceva bene la lingua”. Per la Regione l’ultima speranza è il Consiglio di Stato.