I film più belli del 2016. Ecco la nostra Top 20, dal genio di Larraìn a Woody Allen. Senza dimenticare “perle” italiane

Quali sono stati i film più belli del 2016? Dal genio di Larraìn a Dolàn, passando per la certezza di Allen, ecco la nostra top 20 dei film da vedere

Si è appena concluso un anno ricco da un punto di vista cinematografico e siamo alle porte dei Golden Globe, momento epico prima di arrivare agli Oscar 2017. Ed è il momento, con l’inizio dell’anno nuovo, di fare il punto sui migliori film che abbiamo visto nelle sale cinematografiche in questo 2016. Ecco la nostra top 20 (diteci la vostra, cosa aggiungereste e cosa togliereste dalla nostra classifica). Buona lettura:

1 – El club e Neruda – Impossibile scinderli. Perché figli di uno stesso padre, perché figli dello stesso genio. Parliamo di Pablo Larraín, un regista che ha regalato nel 2016 due perle uniche, attestandosi come la punta di diamante del cinema odierno (insieme a pochi altri, a cominciare da Xavier Dolàn). Il primo lungometraggio scava nella vita e nella psiche di un gruppo (club) di ex preti che dovranno fare i conti con le proprie turbe e i propri scheletri nell’armadio, a cominciare dalle violenze sui bambini. Il secondo è un capolavoro degno della categoria cui tutti i cinefili sono abituati: “film più belli di sempre”. Un film che sfrutta la vita di Pablo Neruda semplicemente come escamotage per raccontare e vivere l’inseguimento, inteso come leit-motiv di ogni vita che deve essere vissuta.

2 – Sole alto – Quel che regala questo film di matrice balcanica è più unico che raro. Nessun attore noto alle platee mondiali e tre storie che si susseguono, in periodo temporali differenti, ma sempre con gli stessi personaggi che ricoprono ruoli differenti. Ma il fil rouge resta sempre lo stesso: un amore impossibile da vivere perché frenato, osteggiato, fatto naufragare dalle contingenze che condannano il sublime a morire. Perché la vita è anche questo: è rinunciare, nostro malgrado, a quel che desideriamo ardentemente, misurandoci a testa alta con la vita, anche con le sue bruttezze. Perché, come diceva Pierangelo Bertoli, “non si sta poi male in questo mondo, se sai nascondere bene la vergogna”. P.s. Una nota di merito a Tihana Lazović.

3 – Café Society – È tornato e, diciamolo pure, ci mancava. Woody Allen, dopo vari film in cui aveva per così dire “tradito” la sua originaria verve comico-malinconica, torna a farcela rivivere con una storia dai tratti ordinari, propri del quotidiano (sebbene ambientata negli anni ’30), ma sublimata dal regista americano, con un andamento impossibile da prevedere. Un po’ come il finale, che – se non l’avete visto – vi lascerà interdetti e con la fatidica domanda: “ma finisce così?”. Inevitabile, con Woody.

4 – È solo la fine del mondo – Eccoci qui a parlare di un altra indiscutibile punta di diamante del cinema contemporaneo, Xavier Dolàn. Classe 1989: basta questo per capire che ha ancora tanto da regalarci. Ma già questo film basta per comprendere che siamo davanti a un genio della cinepresa. Per due ragioni: È solo la fine del mondo regala una varietà di sentimenti umani, “spoilerati” senza retorica e senza alcun filtro registico, dimostrando così come Dolàn sia – senza paradosso alcuno – un vero regista. Il tutto – ed ecco la seconda ragione – condito da un mix di primo piani, che rendono l’indagine umana ancora più vera, ancora più cruda.

5 – Room – Forse, chissà, se gli Oscar non fossero a tratti (e inevitabilmente) vittime di pressioni mediatiche e aspettative nazional-popolari, questo film avrebbe portato a casa la statuetta di migliore opera al posto del pur interessante Caso Spotlight. Ma si sa, come capitato anche in altre circostanze (basti pensare al film sulla tratta, 12 anni schiavo) quando si parla di tematiche mainstream – com’è appunto quello della pedofilia dei sacerdoti – c’è quella spinta in più che aiuta a raggiungere l’ambito premio. Ma Room resta un film profondo, vero, emozionante, in cui la scoperta della storia va di pari passo con la comprensione profonda dei personaggi in gioco. Tutto (o quasi) in una stanza, con l’idea che se non si conosce l’al di là della stanza stessa, si può creare un mondo lì dentro. Non contano sessi (che il protagonista sia un bambino o una bambina non conta…) perché in gioco c’è solo l’io, il suo mondo, la sua conoscenza che pian piano si allarga e il rapporto con il suo unico “altro”, la madre. E se si considera che il film è tratto da una storia vera, si resta semplicemente sbigottiti, in liturgico silenzio.

6 – Ave, Cesare – Per un amante compulsivo dei fratelli Coen, il fatto stesso che Ave, Cesare sia “solo” sesto, lascia comprendere quanto forti siano i film delle prime cinque posizioni. Ma questo è un lungometraggio che non ha nulla di meno. Un capolavoro, sulla scia del genio di Joel e Ethan Coen.  Certo, i fratelli ci hanno abituato a pellicole inarrivabili, già patrimonio dell’umanità. Ma sappiamo bene come la linea del grottesco domini nei Coen. Ecco, Ave, Cesare – da questo punto di vista – non ha nulla da invidiare a film come Fratello, dove sei? Burn After Reading. E come ogni volta resta la fatidica domanda: chi è il vero protagonista in questo lungometraggio? Una sola risposta: l’amore per il cinema, vissuto da dentro.

7 – The Danish Girl – Altro film che, forse, avrebbe meritato qualcosa in più con gli Oscar. Eddie Redmayne è semplicemente insuperabile. Avrebbe potuto ambire alla statuetta come migliore attore protagonista se non fosse stato per un oggettivamente insuperabile Leonardo Di Caprio. Ma The Danish Girl del grande Tom Hooper resta un film da vedere, muovendosi sinuosamente sulla scia della storia – vera – della prima artista transessuale.

8 – Al di là delle montagne – Ancora una volta (ormai capita sempre più spesso) è un film orientale a regalare emozioni così forti da meritare un buon piazzamento in classifiche che tengono conto pure dei “soliti” capolavori occidentali. Quello di Jia Zhangke è un film sul senso della vita, sui cambiamenti inevitabili – positivi o negativi che siano – che si snocciolano nel corso di quasi 30 anni. I tempi storici affrontati sono il 1999, alla fine di un secolo e agli albori di un altro, il 2014 delle avvenute trasformazioni e delle loro conseguenze e il 2025 di un domani, in cui all’ambientazione fondamentale della città di Fenyang, città-cantiere (e città natale del regista), si sostituisce un’Australia ricca e lussureggiante. I cambiamenti sono epocali. E non possono che toccare la vita di ognuno dei protagonisti. Ma resta sempre il legame vivo alla terra natìa. Ed è per questo che, pur nel cambiamento, l’andamento resta ciclico. Com’è d’altronde la vita nel suo svilupparsi concreto.

9. The Revenant – Nulla da dire. Quando il talento di Leonardo Di Caprio e la sapienza cinematografica di Alejandro González Iñárritu si combinano, non può che nascerne un film spettacolare. Nel vero e più profondo senso della parola. La storia già di per sé spettacolare, si sublima in una fotografia unica, dove il paesaggio diventa coprotagonista delle imprese eroiche del protagonista. Uno di quei film da vedere più volte. Per capire la profondità non solo della storia, ma anche dell’ambientazione, delle vere sofferenze silenziose di Di Caprio e dei dialoghi che, seppur limitati, non sono mai banali.

10 – The Hateful Eight – Quando di mezzo c’è Quentin Tarantino e un cast che tiene assieme pezzi da 90 (anzi, i suoi fedelissimi pezzi da 90), si va sempre sul sicuro. E così la storia, che si snocciola prima lungo la via innevata nella carrozza e poi nell’emporio dove i protagonisti finiscono, è piena di colpi di scena, suddivisa negli immancabili capitoli “tarantiniani”, contornata dalla tradizionale linea grottesca e dall’amato splatter. Un film, insomma, da vedere. Certo, non siamo ai livelli dei cult Pulp Fiction, Le Iene o Bastardi Senza Gloria. Ma che diamine: è sempre Tarantino! E tanto basta.

11 – Anomalisa – Un altro capolavoro. E non solo per il semplice fatto che sentimenti puri e tormentati vengano espressi da pupazzi. Ma anche perché in quegli stessi pupazzi ritroviamo la prigione solipsistica di una mente tormentata in cui è impossibile non ritrovare frammenti di noi stessi.

12 – La pelle dell’orsoMarco Paolini è semplicemente enorme. In teatro, come nel cinema. Ed ecco allora che l’estro di Paolini, unito alla direzione di Marco Segato (non a caso, anche lui regista teatrale prestato al cinema), regala emozioni vere in un racconto ambientato negli anni ’50, nel quale l’ambizione di uccidere un orso è l’occasione per il riscatto di un uomo considerato “bestia” e di un figlio lontano da quella stessa “bestia”. Fino ad arrivare al capovolgimento dei fronti: nel rapporto umano per eccellenza – quello tra padre-figlio – e nel superamento del “bestiale” (con l’orso), si riscopre l’umanità perduta.

13 – Animali notturni – Un thriller mozzafiato, come non se ne vedevano da tempo. Terrore, vendetta, amore, il tutto unito alla classe e l’eleganza di Tom Ford. Un film che non annoia e dal finale imprevedibile, reso ancora più emozionante da continui salti temporali che tengono incollati allo schermo.

14 – Captain Fantastic – Una commedia a tratti romantica, a tratti drammatica, calata nel “meraviglio mondo dell’indie”. Viggo Mortensen, una costante garanzia per i cinefili, interpreta il ruolo di un padre fuori dal coro che decide di crescere i suoi sei figli lontano dalla società dei consumi, ma in luoghi dispersi dove è possibile maturare fisicamente e culturalmente, festeggiando, per dire, il compleanno di Noam Chomsky e rifiutando il Natale e la società dei consumi. Ma la morte della madre, da tempo malata, li costringe a intraprendere un viaggio nel mondo sconosciuto della cosiddetta normalità: viaggio che farà emergere dissidi e sofferenze e obbligherà Ben e mettere in discussione la sua idea educativa. Che naufragherà. Inevitabilmente.

15 – Sully – Clint Eastwood e Tom Hanks insieme sono già di per sé un valido motivo per cui vedere Sully. Se poi si ragiona sul fatto che il film è ispirato a una storia vera – il miracoloso atterraggio sull’Hudson – si comprende perché di diritto il film debba comparire tra i migliori del 2016.

16 – The Nice Guys – Molti hanno pensato che l’accoppiata Ryan Gosling e Russel Crowe possa essere paragonata a quella, storica, di Bud Spencer e Terence Hill. Non sappiamo se siamo a quei livelli, ma certo è che si spera che dopo il primo film insieme, una commedia sana e comica, ce ne siano altri.

17 – L’ultima parola. La vera storia di Dalton Trumbo – Uno dei film meno menzionati in questo 2016. E non se ne capisce il motivo. Bryan Cranston perfetto nei panni dello sceneggiatore più famoso e di fatto più importante che la storia del cinema abbia conosciuto. Ma il film cerca di andare anche oltre, cercando di sviscerare oltre al Trumbo autore, anche il Trumbo uomo, padre e cittadino impegnato politicamente. Anche quando è difficile, anche quando vuol dire rischiare tutto perché si è comunisti negli Stati Uniti della Guerra Fredda.

18 – La pazza gioia – Non tutti hanno apprezzato l’ultimo film di Paolo Virzì. E invece la commedia che vede come coprotagonista Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, entrambe spettacolari oltreché bellissime, è da vedere. Ma lo precisiamo: se siete i classici tipi con la puzza sotto il naso, che hanno esigenza incontenibile di parlare del nichilismo avvolti di sciarpa e con un calice di vino (magari “bio”….) tra le mani, lasciate perdere. Non è per voi. Statevene col vostro Bukowski (magari senza esser mai andati oltre la terza pagina o il riassunto di Wikipedia) che siamo tutti più contenti.

19 – Fai bei sogni – Un gran bel film, di uno dei migliori registi italiani, Marco Bellocchio, che questa volta ha deciso di tradurre in scena quanto raccontato in uno dei bestseller italiani degli ultimi anni, opera di Massimo Gramellini. Menzione speciale per un sempre grande Valerio Mastandrea che riesce egregiamente a portare in scena la storia di un’assenza, leit-motiv anche del romanzo: un sorriso negato, la rinuncia alla cura da parte di chi pure ne sarebbe preposto, la nostalgia bruciante dell’accoglienza che una madre dovrebbe (poter) dare ad un figlio amato.

20 – Lo chiamavano Jeeg Robot – Non si poteva che chiudere questa top 20 con il film di Gabriele Mainetti. Chi ancora avesse un dubbio su Claudio Santamaria, deve necessariamente guardare questo film. Si ricrederà (finalmente) sull’immagine del “bello e maledetto” e comprenderà la levatura e la capacità attoriale di uno dei maggiori – senza paura di smentita – attori italiani.