I pm mettono il pepe sul Cota

di Antonio Rossi

O le ha pagate lui o la Regione, questa volta sembra proprio che Cota sia rimasto soltanto con le ormai famose mutande verde leghista. Il Tar gli ha sfilato la poltrona la scorsa settimana, annullando le elezioni che lo avevano portato a diventare governatore, e ora la Procura della Repubblica di Torino vuole processarlo, con l’accusa di aver utilizzato a fini privati il denaro che serviva per l’attività politica. Non ne va bene una a quello che era l’astro nascente del partito del Nord e che ora non fa più parte neppure del cerchio magico dei suoi.

La svolta
La rimborsopoli piemontese è arrivata al giro di boa. Per gli inquirenti c’è stata una gestione allegra del denaro pubblico, fatta di sprechi e di illeciti, di falsi e raggiri. Ieri la Procura di Torino ha così chiesto il rinvio a giudizio del presidente -più ex che tale a dir la verità – della Regione, Roberto Cota, e di 39 consiglieri. Diversi i reati ipotizzati, anche se il più gettonato è quello di peculato. Un’indagine che era in corso da tempo, inizialmente concentrata su 56 politici e su spese per due milioni di euro, dove non erano mancati rimborsi per un semplice caffè e per regali di matrimonio, senza contare che c’era chi aveva recuperato le spese anche per qualche gadget del duce o per le briglie da cavallo. Un sistema di malaffare trasversale ai diversi partiti, secondo gli inquirenti, sul quale per mesi e mesi ha indagato la Guardia di finanza. Le Fiamme gialle sono arrivate a esaminare le celle telefoniche agganciate dai cellulari degli indagati, Cota in primis, per appurare dove si trovavano realmente quando veniva speso denaro per cui poi avevano chiesto il rimborso, sostenendo che erano in missione. Una verifica che è andata a colpire lo stesso espresso offerto dal governatore alla sua scorta in un’area di servizio. L’inchiesta, che ha ora portato alle richieste di giudizio, nello specifico è iniziata nel 2012 e, oltre al peculato, ha portato a ipotizzare i reati di truffa e finanziamenti illecito ai partiti.

L’ex governatrice ride
Ma se Cota affonda, a risorgere negli ultimi giorni è stata Mercedes Bresso. Non aveva mai digerito la mancata riconferma alla guida della Regione e, dopo aver ottenuto la vittoria al Tar, per lei sul fronte rimborsopoli è stata chiesta l’archiviazione. Un provvedimento che gli inquirenti hanno preso tanto per Mercedes Bresso che per l’ex esponente di Sel, Monica Cerutti. Stralciata, infine, la posizione del consigliere Andrea Stara, del Partito democratico. La ex presidente, data per sconfitta, finita e dimenticata, sta incassando una rivincita dietro l’altra. Ora il gip dovrà fissare un’udienza, la cosiddetta udienza preliminare, dove decidere se disporre per Cota e gli altri 39 un processo. In quella sede gli imputati potranno anche chiedere di essere giudicati con riti alternativi, di patteggiare o di essere processati con rito abbreviato, che in caso di condanna prevede lo sconto un terzo della pena, procedendo allo stato degli atti e saltando il dibattimento.

L’altra indagine
Quella penale, tra l’altro, non è l’unica inchiesta compiuta sul Piemonte. A spulciare tra i conti dei gruppi regionali si è messa anche la Corte dei Conti. E soltanto nella fase di controllo dei rendiconti presentati dai partiti, un obbligo dopo la legge varata ad hoc, i magistrati contabili hanno espresso perplessità sui rendiconti dei gruppi Moderati, Per la Federazione-Sinistra Europea e Uniti per Bresso.

Roberto non si arrende
Cota dal canto suo non ci sta a finire in panchina. Aveva annunciato battaglia contro la sentenza del Tar che ha annullato le elezioni ed è pronto a darla ora contro l’inchiesta. Per lui non ha commesso alcun reato. Niente sprechi. Tutto regolare. Mutande leghiste comprese. “Riaffermo – ha dichiarato Cota – la correttezza delle mie azioni e la limpidezza delle mie intenzioni, farò valere le mie ragioni con forza ed in ogni sede”. Tutto messo nero su bianco, in un documento, sostenendo la sua “totale estraneità a interessi di carattere economico” e che “il problema dei costi della politica è stato da subito affrontato in questa legislatura dal consiglio regionale in modo risolutivo, caso unico e raro”. Il presidente ha poi aggiunto che “il consiglio regionale costa oggi trenta milioni in meno l’anno”. Si aspettava una medaglia, forse avrà un processo.

 

Da Aosta a Palermo gli scandali si susseguono

di Fausto Tranquilli

Non c’è Regione, o quasi, che dopo l’arresto di Fiorito non sia finita nel mirino delle Procure ordinarie o di quelle presso la Corte dei Conti per i rimborsi ai gruppi consiliari. Spese pazze sono spuntate fuori ovunque. Da Nord a Sud. In tutti i partiti. E in qualche caso agli avvisi di garanzia sono seguiti arresti e carcere.

Al Nord
In Valle d’Aosta è in corso un’inchiesta per peculato e finanziamento illecito dei partiti, avviata dopo gli acquisti di alimenti per la festa del Pd. In Piemonte la Procura ha appena chiesto il rinvio a giudizio del governatore Roberto Cota e di 39 consiglieri. Passando alla Liguria, l’ex vicepresidente ed ex capogruppo dell’IdV, Nicolò Scialfa, è finito in manette, mentre gli investigatori hanno scoperto rimborsi anche per pizza e gelati. Pesante la situazione in Lombardia. Se Nicole Minetti si è fatta pagare il libro “Mignottocrazia” e Renzo Bossi, detto “Il trota”, i cioccolatini, le spese sospette sono per due milioni di euro e coinvolgono 62 politici. Grane in Friuli, dove è al lavoro la Procura di Trieste e sono state scovate spese persino per la pulizia del cane, mentre in Veneto la Corte dei Conti non è apparsa convinta della regolarità dei rendiconti presentati dai gruppi.

Al centro
In Emilia gli scandali si susseguono, partendo da un consigliere del Pd che si è fatto rimborsare pure i 50 centesimi utilizzati per un bagno pubblico. Nel Lazio, oltre a Fiorito, gli altri del Pdl e Maruccio, la Procura di Rieti sta indagando sulle spese del Pd, a partire da quelle compiute da Esterino Montino, ora sindaco di Fiumicino, ed Enzo Foschi, scelto da Ignazio Marino come caposegreteria. Indagini e sospetti poi in Umbria, nelle Marche, dove c’è stato chi si è fatto pagare un manuale erotico, e giusto qualche dubbio della Corte dei Conti sull’Abruzzo, per un rendiconto presentato dal Misto.

Al Sud
In Campania gli indagati sono 53, in Molise sono stati trovati rimborsi anche per spettacoli di lap dance, in Basilicata sono scattate le manette, sospetti della Corte dei Conti sulla Puglia, grane in Calabria, arresti in Sardegna, dove le inchieste sono due, e accertamenti in Sicilia.