Il boss Graviano racconta di aver incontrato tre volte Berlusconi a Milano. “Ero latitante e lui lo sapeva”. Cosa Nostra avrebbe avvicinato il Cavaliere per investire 20 miliardi al Nord

Prima le bombe del Novantatré. Ora un presunto incontro con un latitante di spicco di Cosa Nostra. Il passato torna di nuovo a bussare alle porte di Silvio Berlusconi, ed è ancora una volta lui, Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio che azionò il telecomando dell’autobomba che in via D’Amelio uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, a tirare in ballo il Cavaliere. “Ho incontrato tre volte a Milano Silvio Berlusconi mentre ero latitane”. Queste le parole che martello o madre natura, come si faceva chiamare Graviano giù a Palermo, ha detto al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, deponendo, in videoconferenza, al processo sulla ‘ndrangheta stragista, in corso a Reggio Calabria e che lo vede imputato.

E’ lo stesso Graviano che ha già ispirato l’altra inchiesta, aperta nel 2017, che vede coinvolto l’ex premier e leader di Forza Italia, insieme a Marcello Dell’Utri, in qualità di presunto mandante occulto degli attentati mafiosi che ventisette anni fa sconvolsero Roma, Milano e Firenze. Il boss, in questo caso, nell’aprile del 2016, durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno, disse al camorrista Umberto Adinolfi: “Berlusca… mi ha chiesto questa cortesia… (…) lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa…”. Frasi captate dalle microspie che la Dia aveva piazzato nel penitenziario e finite ai pm fiorentini che indagano sulle bombe del ’93.

Ma non è tutto. Graviano, nel corso della sua deposizione al processo di Reggio Calabria, ha detto che Berlusconi, prima di iniziare la sua attività politica, gli avrebbe chiesto un aiuto in Sicilia. Poi, però, il Cavaliere non fece nulla di ciò di cui Cosa Nostra aveva bisogno, in particolare abolire il carcere duro e l’ergastolo. “Per questo – ha detto il boss – ho definito Berlusconi traditore”. Alla domanda se l’ex premier fosse o meno a conoscenza del suo stato di latitanza, Graviano ha premesso di essere stato “latitante dal 1984” e che il Cavaliere ne fosse a conoscenza quando, nel 1983, lo incontrò “all’hotel Quark” di Milano.

A sostegno del suo racconto, Graviano ha aggiunto che suo nonno materno, Filippo Quartararo, facoltoso commerciante di frutta e verdura, “era in contatto con Berlusconi” e fu lui a ricevere l’incarico di agganciare l’ex presidente della Fininvest perché Cosa Nostra voleva investire nel settore immobiliare, al Nord, “circa venti miliardi di lire”. E di questo si sarebbe parlato nel corso dell’incontro all’Hotel Quark, dove erano presenti anche il nonno e un cugino di Graviano. Quel fiume di danari sporchi, ha aggiunto il boss di Brancaccio, servirono per realizzare “Milano 3”, ma anche per le Tv. L’idea di Cosa Nostra “era di legalizzare la situazione per far emergere i finanziatori nella società immobiliare di Berlusconi in cui c’era mio nonno, perché i loro nomi apparivano solo su una scrittura privata che ha in mano mio cugino Salvo”.

Per l’avvocato Niccolò Ghedini si tratta di dichiarazioni “totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie”. “Si osservi – aggiunge il legale di Berlusconi – che Graviano nega ogni sua responsabilità pur a fronte di molteplici sentenze passate in giudicato che lo hanno condannato a plurimi ergastoli per gravissimi delitti. Dopo 26 anni ininterrotti di carcerazione, improvvisamente il signor Graviano rende dichiarazioni chiaramente finalizzate ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri. Si comprende, fra l’altro, perfettamente l’astio profondo nei confronti del presidente Berlusconi per tutte le leggi promulgate dai suoi governi proprio contro la mafia. Ovviamente – conclude Ghedini – saranno esperite tutte le azioni del caso avanti l’autorità giudiziaria”.