Il caso Pozzallo riaccende un faro sulla Libia e la frontiera che l’Europa non vuole vedere

Una barca crivellata arriva a Pozzallo: il nuovo rapporto Sea-Watch accusa la Guardia costiera libica e l’Ue che la finanzia.

Il caso Pozzallo riaccende un faro sulla Libia e la frontiera che l’Europa non vuole vedere

Quando la barca è arrivata a Pozzallo, nella notte del 12 ottobre, aveva i segni evidenti dei proiettili sullo scafo. Cento persone a bordo, tre feriti gravi, uno in coma. Secondo i sopravvissuti, i colpi sono partiti da una motovedetta libica mentre l’imbarcazione si trovava nella zona Sar maltese. Le autorità di La Valletta non confermano né smentiscono, ma la sequenza coincide con altre segnalazioni di Alarm Phone e con la cronologia di Sea-Watch: pattuglie libiche che aprono il fuoco in acque internazionali, con mezzi e addestramento pagati dall’Europa.

A poche ore dallo sbarco, l’organizzazione tedesca ha diffuso un rapporto di 70 pagine che documenta 60 episodi di violenza dal 2016 nel Mediterraneo centrale, di cui almeno 54 avvenuti fuori dalle acque territoriali libiche. Gli autori parlano di un “sistema di aggressione strutturato”, non di episodi isolati. Nel 2016 erano tre. Nel 2023 e 2024 undici ogni anno. Nei primi nove mesi del 2025 già nove casi confermati.

Le motovedette di Roma e Bruxelles

Le unità usate negli ultimi attacchi — compresi quelli contro la Ocean Viking ad agosto e la Sea-Watch 5 a settembre — sono motovedette classe Corrubia, consegnate dall’Italia alla Libia attraverso il programma europeo SIBMMIL (Support to Integrated Border and Migration Management in Libya).
Il 24 agosto, la Ocean Viking è stata bersagliata per venti minuti da una di queste unità, la Houn PB 664, in pieno mare aperto. La nave di soccorso trasportava 87 naufraghi; nessun ferito, ma plancia e parabordi crivellati. Meno di un mese dopo, l’attacco alla Sea-Watch 5 nello stesso quadrante.
SOS Méditerranée e Sea-Watch hanno riconosciuto le navi libiche come parte della flotta finanziata dall’Ue, mentre la Commissione europea continua a definire la cooperazione “necessaria per salvare vite umane”.

L’Italia è il principale partner operativo: fornisce assistenza tecnica, ricambi e formazione, come previsto dai fondi europei NDICI-Global Europe. Ma in mare, quelle stesse motovedette agiscono spesso senza coordinamento, con catene di comando che rispondono a milizie locali e non a un’autorità unificata.

Le cifre della violenza

Dal 2016 oltre 169 mila persone sono state intercettate e respinte in Libia. L’Onu, con il rapporto della Missione d’inchiesta di marzo 2023, parla di “crimini contro l’umanità”: detenzione sistematica, torture, violenze sessuali, estorsioni. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni calcola che solo nel 2025, fino a settembre, più di 19 mila migranti siano stati riportati nei centri di detenzione, in condizioni definite “inumane e degradanti”.

Nel porto di Pozzallo, i medici hanno contato ferite da arma da fuoco su almeno tre corpi. Alcuni testimoni parlano di “raffiche da prua” e di “una bandiera libica visibile”. È l’ennesimo caso in cui la distinzione tra Guardia costiera e gruppi armati è impossibile. La procura di Ragusa ha aperto un fascicolo, mentre Frontex ammette di aver monitorato la scena tramite droni senza intervenire.

Il nodo politico

Il dossier di Sea-Watch arriva alla vigilia dei nuovi colloqui Ue-Libia sulla cooperazione marittima. Nel Parlamento europeo cresce la pressione per tagliare i fondi a Tripoli e dirottarli su agenzie Onu e organizzazioni civili. Un gruppo trasversale di eurodeputati ha depositato un’interrogazione in cui chiede “condizionalità rigorose e verificabili” sui finanziamenti, incluso l’obbligo di sospendere i trasferimenti in caso di violenze in mare.

Bruxelles replica che senza la collaborazione libica aumenterebbero i naufragi. Ma la cronologia degli attacchi mostra l’opposto: più si finanziano le pattuglie, più cresce la violenza. L’effetto deterrente si è tradotto in una guerra a bassa intensità contro i civili, in un tratto di mare che l’Europa continua a definire frontiera.

L’esternalizzazione che si incrina

La vicenda di Pozzallo — una barca crivellata dai proiettili dopo giorni di deriva — diventa la prova materiale di una politica che esplode nelle mani di chi l’ha concepita. I governi europei delegano la difesa dei propri confini a milizie che non riconoscono il diritto internazionale, mentre i cittadini europei finanziano inconsapevolmente la catena di abusi che inizia in mare e finisce nei centri di detenzione di Tripoli, Misurata e Zawiya.

Il nuovo rapporto segna un punto di rottura. O l’Unione europea subordina ogni forma di cooperazione a garanzie effettive — stop alle violenze in mare, chiusura delle prigioni arbitrarie, monitoraggio indipendente — oppure continuerà a essere corresponsabile di ciò che accade oltre l’orizzonte dei radar.