Ora la missione è rottamare pure Napolitano

di Angelo Perfetti

Tutto è accaduto nell’ultimo mese. I grillini hanno testato la propria forza imponendo la caduta di Berlusconi dall’incarico di senatore, quest’ultimo – a sorpresa – invece di iniziare una guerra santa contro chi l’ha fatto fuori ha dichiarato di volersi alleare per un obiettivo comune che è il ritorno alle urne; la Corte costituzionale ha bocciato l’attuale legge elettorale imponendo alla politica di fare in fretta, Renzi vince la segreteria Pd e chiede immediata discontinuità, Vendola mal sopporta di stare fuori dal parlamento col suo partito. Le larghe intese sono morte, artificialmente tenute in vita dall’opera di Napolitano che, fidando formalmente su un numero di partiti presenti oggi in Parlamento (ma rappresentanti in caso di elezioni lo ‘zero virgola” del corpo elettorale nazionale), conta i numeri per la fiducia alle Camere. Che poi il governo dei tecnici, da Monti ad oggi, abbia perso la fiducia degli italiani, poco importa. Per fermare questa spirale, lo stesso Napolitano è stato messo sotto accusa, sempre dal Movimento 5 stelle; l’ipotesi dell’impeachment, che il Pd conosce bene per averla già praticata in un paio di casi, stavolta potrebbe ritorceglisi contro. Forza Italia, per voce di Brunetta, ha già dichiarato la propria disponibilità a valutare l’idea di mettere sotto accusa il Presidente. Renzi non si esprime, ma la difesa a spada tratta del Napolitano-pensiero  non potrà spingersi fino alla difesa delle larghe intese. Legge elettorale subito, dunque, al massimo entro un paio di mesi. Poi il voto, alla faccia del semestre italiano alla guida dell’Unione europea, impegno che tecnicamente non stride con la possibilità di nuove elezioni. Renzi sa bene che se vuole realmente dare un segnale di discontinuità deve farlo da Palazzo Chigi e non dalle stanze della segreteria Pd; così come Berlusconi sa bene che se vuole tornare al governo deve tornare immediatamente alle urne, lasciando Alfano e i suoi alla faticosa costruzione di un partito che ancora non c’è. A Letta restano Monti, Casini, Alfano, Lupi: in poche parole la scissione dell’atomo centrista e le minoranze espresse in seno ai partiti d’origine. Con questa benzina, non si va lontano.