Il Cavaliere adesso fa paura a Renzi

di Lapo Mazzei

A volte dar retta a Nichi Vendola non è poi così male. Anzi, aiuta a prendere con maggior filosofia la politica di casa nostra, sempre più simile a una melassa acida, capace solo di avvelenare la salute degli italiani. Perché sino a oggi la soluzione dei problemi che affliggono il Paese non è certo venuta da Camera e Senato (figuriamoci da palazzo Chigi) ma dall’italico stellone che tutto vede e tutto assolve. Dicevamo di Vendola. Il leader di Sel sostiene che “Berlusconi è la malattia di cui l’Italia soffre da vent’anni, ma non bisogna confondere l’esorcista Renzi con il demone Berlusconi”. Immagine un po’ hard per l’immaginifico governatore della Puglia, ma efficace. “Però voglio dirlo a Renzi: caro Matteo, ma è possibile rimuovere dalla legge elettorale un passaggio che escluda la possibilità di essere eletti se si ha un conflitto d’interessi? Così gli elettori non hanno la possibilità di scegliere”. Vendola definisce poi “una volgarità” lo sbarramento all’8% per i partiti che si presentano fuori dalle coalizioni. Tralasciando l’ultimo dettaglio, su tutto il resto conviene ragionare.

La stessa fine di Veltroni
Perché Renzi, e i fatti lo dimostrano, ha capito che se dovessimo andare a votare oggi a prevalere non sarebbe il Pd ma il Cavaliere, politicamente resuscitato proprio da Matteo. Il quale, senza un’alleanza netta e chiara con Sel e il resto del cocuzzaro che sta a sinistra del centro sinistra, è destinato a fare la fine di Veltroni. Dunque il segretario del Pd può solo aspettare. Perché se la battuta che gira in rete è molto carina – “Fra un fiorentino (Renzi) e un pisano (Letta) vince un Napolitano” – la realtà è che il vero dominatore del momento è proprio lui, Silvio da Arcore. “A me conviene votare, all’Italia no” scrive su Twitter l’ex rottamatore oggi temporeggiatore. Una frase, quella del sindaco di Firenze, da mandare a memoria. Per due ragioni, anche se contrapposte fra loro.
Prima di tutto il cinguettio arriva il giorno dopo la Direzione del Pd, dove è stato deciso di non decidere nulla. E poi il segretario, intervenendo via Internet sul calendario del percorso di riforme avviato con la revisione della legge elettorale, svela un segreto di Pulcinella. Il suo obiettivo, dettato dalla sua grande ambizione, è arrivare a Palazzo Chigi per il solo gusto del potere per il potere. Ma non vuole arrivarci con delle scorciatoie. O le urne o nulla. Dunque il Renzi I, per via parlamentare, è morto prima di nascere. “Siamo a un passo da una riforma storica. Senato, province, legge elettorale, Titolo V” scrive l’interessato su Twitter ricordando che andare alle urne sarebbe controproducente per il Paese. Il sindaco scarta poi qualsiasi ipotesi di un’intesa di governo con Berlusconi. Già, quel che si può fare per la legge elettorale poi non vale di fronte agli elettori che hanno già dimostrato di non gradire questo modo di fare di Renzi che va a braccetto con Silvio, ovvero con l’odiato nemico. Caro Matteo, certe cose non si fanno, dicono tutti i sondaggi. “Voglio dirlo subito”, scrive il giornalista Giovanni Valentini, “se Renzi fa un governo con Berlusconi, gli tolgo il voto e anche il… saluto”. “Non rischiamo né voto né saluto allora” gli risponde secco il Sindaco di Firenze.

L’obiettivo è guadagnare tempo
Per dire. Alla Direzione democrat di giovedì scorso non si era assistito allo showdown del rapporto tra governo e partito previsto dai retroscenisti più spericolati, con il segretario che si è limitato a dare appuntamento al 20 febbraio per capire se “cambiare schema” o no. Un modo molto democristiano, quello del guanto della sfida con data incorporata, buono per spostare in avanti le lancette della discussione e prendere tempo. Cosa di cui Renzi ha ora davvero bisogno. Tant’è che la decisione di non decidere ottiene il consenso dell’ex viceministro all’Economia Stefano Fassina, che nel corso della “Telefonata” su Canale 5 con il direttore di Libero Maurizio Belpietro ha evocato un chiarimento utile, sia sul piano “politico che sul piano programmatico”. Quanto ad un eventuale avvicendamento a Palazzo Chigi “dovrebbe essere conseguente alla discussione politica che facciamo”, spiega Fassina. “Credo che ci siano le condizioni per una svolta con la conferma di Letta ma se non sarà possibile” occorre puntare a un governo efficace. E se “la risposta Renzi può essere efficace dobbiamo metterla in campo”.
Se anche Fassina si è adeguato vuol dire che il Pd non è più erede del Pci ma la proiezione 2.0 della nuova Dc. E in questo Renzi ha davvero centrato il suo obiettivo, santificando il secondo passaggio del suo cinguettio: “Non conviene al Paese”. I cavalli di razza della Dc dicevano sempre così. Una modesta prova arriva anche da Giovanni Toti che constata amaramente l’avvenuta modificazione genetica del Pd. “Chi è più laico tra me e Renzi? Lui era democristiano, io socialista: chi dei due può essere più laico…?”, si chiede retoricamente il neo consigliere politico di Berlusconi, sottolineando che “bisogna essere laici e non distruggere la famiglia, ma neppure comprimerla fuori misura e fuori dal tempo. In linea di massima – ha spiegato in un’intervista rilasciata a “Matrix” in onda ieri sera su Canale 5, “sono a favore del divorzio breve. Io sono una persona moderatissima, ma la moderazione deve tenere conto della realtà anche quando questa cambia. La famiglia italiana non è più come quella degli anni ‘50 o ‘60”. Nemmeno i partiti e la politica. Benvenuto al mondo, tenero Toti.