di Angelo Perfetti
Nome in codice B 007. E’ la sigla della spia venuta dal nord (Italia), beccata e condannata per rilevazioni di segreto istruttorio. Il trasferimento di un file criptato, sistemato su una modernissima pendrive e abilmente piazzato (ma non taroccato) a tutti i giornali allo scopo di screditare gli avversari politici, gli è costato la condanna a un anno di galera. Unico caso nel Belpaese, ma si sa, le avventure di 007 sono sempre uniche. E così, dopo le tette della Minetti e il fondoschiena di Ruby l’attenzione dei giudici di Milano ora si concentra su un altro versante della variegata attività della spia Berlusconi che passa – come da copione filmatografico – tra belle donne, sesso, segreti e intrighi.
Le motivazioni dei giudici
Secondo i giudici dunque il ruolo di Silvio Berlusconi nella vicenda dell’intercettazione Fassino-Consorte che gli è costato in primo grado una condanna a un anno di reclusione, fu decisivo. Nelle motivazioni della Corte si legge che senza l’ ‘’apporto in termini di concorso morale’’ dell’ex premier ‘’non si sarebbe realizzata la pubblicazione’’. E così siamo passati da “abbiamo una banca” ad “abbiamo una condanna”.
La reazione degli avvocati
Insorgono gli avvocati del Cavaliere: ‘Le motivazioni della sentenza riguardante la cosiddetta vicenda ‘’Unipol’’ – affermano Piero Longo e Niccolò Ghedini – dimostrano ancora una volta la impossibilità di celebrare dei processi a Silvio Berlusconi a Milano. Tale decisione appare ancor più straordinaria visto che ad un incensurato si negano non solo le attenuanti generiche ma anche la sospensione condizionale, confermando vieppiù il pregiudizio’’. Anche in questo caso, come per il processo “Ruby 2”, ‘’le osservazioni contenute in sentenza, totalmente smentite dai testi in dibattimento per la posizione di Paolo Berlusconi sulla sua effettiva partecipazione alla pubblicazione dell’intercettazione e per cui non v’è il benché minimo indizio, divengono prive di ogni logica giuridica per il Presidente Berlusconi’’. Il leader del Pdl, continuano gli avvocati, ‘’viene condannato per concorso morale e quindi non per aver posto in essere qualche condotta specifica ma per aver rafforzato il proposito del fratello Paolo proprietario ed editore del Giornale. Mai nessuno ha potuto prospettare alcunché in proposito ed anzi colui che ha consegnato l’intercettazione ha affermato che il Presidente Berlusconi non l’ha mai ascoltata. Parimenti Paolo Berlusconi ha ripetutamente ribadito che Silvio Berlusconi mai se n’era interessato. E’ una sentenza – concludono Longo e Ghedini – dunque basata sull’incredibile principio del cui prodest, che non potrà che essere riformata nei gradi successivi’’.
Le reazioni del centrodestra
Intanto però la condanna c’è stata, e il mondo politico del centrodestra insorge: “Le motivazioni sono più strabilianti di quanto si potesse immaginare – ha detto Daniela Santanchè – Reagiremo con forrza contro il perpetuarsi dell’uso politico della Giustizia volto a eliminare Silvio Berlusconi.
I commenti dal centrosinistra
Di Pietro ci va giù duro: ‘’Forse è bene ricordare come è nata quell’inchiesta. Ha origine da un mio esposto presentato alla Procura di Milano nell’ottobre del 2009, subito dopo aver raccolto le confessioni di Fabrizio Favata, l’imprenditore che aveva consegnato la pendrive con l’intercettazione al Cavaliere’. L’imprenditore in questione si era rivolto anche ad altri esponenti politici che pero’ preferirono fare come le tre scimmiette, tappandosi gli occhi, le orecchie e la bocca. Mentre io ho fatto il mio dovere di cittadino e sono corso a riferire ai magistrati. Ed e’ stato un comportamento corretto, visto che anche i fatti mi hanno dato ragione’. I lacche’ del Cavaliere si rassegnino, in Italia la legge è ancora uguale per tutti. E ancora Berlusconi non è riuscito a farsi incoronare re’’.
No alla ricusazione
La sesta sezione della corte di Cassazione ha respinto la richiesta presentata dai legali di Silvio Berlusconi di ricusare il giudice Maria Teresa Guadagnino, uno dei componenti del collegio del tribunale di Milano che si è occupato del processo sull’intercettazione Consorte-Fassino. Il sostituto procuratore generale, Gabriele Mazzotta, si era detto contrario alla ricusazione del giudice Guadagnino, componente del collegio che ha condannato l’ex premier a un anno nell’ambito dell’inchiesta Unipol.