Il chirurgo contro tutti. Ora Marino vuole davvero tornare. Ma ormai il sindaco non ha più la fiducia di nessuno

di Antonio Acerbis

Tic toc, tic toc. Le ore e i giorni trascorrono. E il tempo a disposizione di Ignazio Marino per tornare sui suoi passi si accorcia sempre di più. Solo dieci giorni a disposizione prima che il chirurgo diventi ufficialmente ex sindaco. Eppure l’intenzione del marziano è quella di non mollare, come detto oggi chiaramente nell’intervista rilasciata a La Repubblica: “La legge mi dà 20 giorni per verificare se la mia esperienza è davvero finita o se ci sono le condizioni per rispettare il partito che mi ha eletto alle primarie con il 52 per cento, parlo del Pd e di Sel, e al ballottaggio con il 64 per cento”, ha detto Marino. Per poi essere ancora più esplicito: “Io sto facendo delle verifiche, incontrando i consiglieri. Voglio ascoltare le opinioni degli eletti del popolo” perché “la città ha capito che con me sono stati cacciati i criminali che erano qua dentro. Le persone che incontro per strada mi chiedono di non interrompere questa esperienza”. Una dichiarazione precisa. Quanto veritiera, tuttavia, non si sa. Dopo scandali, contestazioni, sfiducia palpabile per le strade, è arrivato proprio oggi l’ultimo sondaggio (dell’Istituto Ixè, realizzato in esclusiva per Agorà), da cui emerge che l’ipotesi che Ignazio Marino ritiri le proprie dimissioni da sindaco non piace al 69% degli intervistati. Solo per il 27%, invece, ha il diritto di ripensarci. Certo, parliamo di numeri soltanto. E sappiamo bene quanto spesso i sondaggi imbecchino strade che poi rivelano assolutamente errata. Eppure non si può non tenere per niente in conto cifre, umori, danni e figuracce collezionate negli ultimi mesi dal “sindaco Tentenna”.

IL VERO CONTO – Già, perché oltre all’inopportunità che Marino torni al Campidoglio, c’è di mezzo anche l’ennesima gaffe in cui potrebbe incorrere il quasi-ex sindaco. Il motivo – che il chirurgo fa finta di ignorare – non è (solo) il presunto peculato, ma il legame politico che non c’è più. Chi lo ha candidato e fatto eleggere gli ha ritirato la fiducia, come gran parte dei romani scontenti del degrado della città. Ora il concetto classico di democrazia vuole che chi è eletto governi per il tempo stabilito. Giusto. Ma una visione moderna non può ignorare il concetto dinamico anche del mandato elettorale. Il conto che Marino deve pagare non sono gli scontrini, ma un patto politico che, oggi, non esiste più. E, come spesso capita, tentare di rincollare i cocci di un vaso frantumato, non riporta mai allo stesso vaso, ma a un’orrida fotocopia.

IL DITTATORE DEM – Il partito, però, non ha alcuna intenzione di tornare indietro. Renzi e Orfini non trattano. “La decisione è presa”, dicono dal Nazareno, in una sorta di remake dell’ipse dixit di Giulio Cesare. Corsi e ricorsi storici, d’altronde. Renzi avrebbe bisogno solo della tunica per indossare le vesti del dittatore romano. Sappiamo come andò, però, alle Idi di Marzo. Ma l’ipotesi di vedere Matteo Renzi dire “quoque tu, Ignazio, fili mi”, oggi, appare davvero poco probabile.