Il Codice Rosso è solo l’inizio. Serve una rivoluzione culturale. Parla la deputata M5S, Ascari: “Bisogna dare ai cittadini un approccio diverso al tema”

“Nulla sarà mai abbastanza fino a quando ciascuna donna non si sentirà completamente al sicuro”. A parlare così è la deputata del Movimento 5 Stelle in Commissione Giustizia, Stefania Ascari, che conosce il fenomeno del femmincidio essendo stata la relatrice della legge Codice rosso.

Dall’ultimo report di Eures sui femminicidi si scopre che nei primi dieci mesi del 2020 le donne rimaste uccise sono state 91, ossia una ogni tre giorni, a fronte delle 99 dello stesso periodo dell’anno scorso. Un miglioramento c’è stato ma non sembra ancora abbastanza, non trova?
“Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto per contrastare il fenomeno della violenza di genere, a partire dalla ratifica di importanti convenzioni internazionali fino alle nuove norme entrate in vigore nel luglio del 2019. Per poter raccogliere a pieno i frutti di questo lavoro occorre più tempo, perché si tratta di un processo lento che non può prescindere da un profondo cambiamento culturale. Statistiche a parte è chiaro che nulla sarà mai ‘abbastanza’ fino a quando ciascuna donna non si sentirà completamente al sicuro, libera da condizionamenti e dalla violenza maschile”.

Dai dati in lieve miglioramento sembra emergere l’efficacia della legge “Codice rosso”, di cui lei è stata relatrice, e che proprio lei ha detto che si può ulteriormente migliorare. A suo parere la norma in che cosa dovrebbe cambiare?
“Con il codice rosso siamo intervenuti sia sull’aspetto repressivo di questo tipo di reati sia su quello preventivo, e i risultati ci sono, anche tenendo in considerazione le anomalie statistiche legate ai mesi di lockdown. Penso alle 4000 indagini aperte in poco meno di un anno per casi legati ai nuovi reati introdotti con il nostro pacchetto di norme, o a tutte le donne che hanno trovato il coraggio di denunciare e che sono state ascoltate entro 72 ore da un magistrato. Quando dico che la norma deve essere migliorata mi riferisco soprattutto al tema della cultura, offrendo ai cittadini – specie a quelli più giovani – una prospettiva e un approccio diverso sul tema”.

Dal report emerge anche che sono in aumento i casi di revenge porn tanto che, nel periodo oggetto d’esame, sono state aperte oltre mille inchieste. Eppure capita spesso, come nel caso della maestra di asilo di Torino licenziata a causa di un video hard diffuso dal suo ex fidanzato, che sia la vittima di questo reato ad essere messa alla gogna. Come se lo spiega e che cosa può fare la politica per tutelare chi subisce questa riprovevole violenza?
“Al di là dei reati e del revenge porn, in questi anni abbiamo imparato quanto la rete e suoi utenti possano essere feroci. Anche in questo caso, il tema è quello dell’approccio culturale e del rispetto, ed è su questo che bisogna intervenire”.

Spesso si leggono casi di cronaca in cui si parla, nei casi di femminicidio, di raptus improvvisi salvo poi scoprire che la vittima aveva già subito piccole e grandi violenze domestiche, talvolta neanche denunciate. Proprio quanto sembra confermare anche il report di Eures secondo cui in un caso su due tali aggressioni derivano da violenze pregresse. Come si spiega questo dato?
“In molti casi, le vittime hanno avuto paura di denunciare perché non si sentivano sufficientemente sicure. Ora come testimonia il boom di denunce degli scorsi mesi, grazie alla corsia preferenziale per le indagini che abbiamo creato ci sono margini di intervento più rapidi”.

I centri antiviolenza denunciano spesso la scarsità di risorse e la difficoltà di farle arrivare alle strutture. Come si possono sostenere queste strutture?
“I centri antiviolenza rappresentano una risorsa straordinaria per le donne in difficoltà e per l’intera comunità. Occorre fare sempre di più per sostenere questi indispensabili presidi per le vittime”.

Pochi giorni fa è scoppiata la grana Rai, a causa delle forti pressioni politiche, che ha deciso di non mandare in onda l’intervista di Franca Leosini allo sfregiatore di Lucia Annibali. Che ne pensa?
“Io non entro nel merito della questione. Io credo fermamente nella libertà di espressione sancita dall’articolo 21 della Costituzione, ma le dico solo che, personalmente, preferisco che si dia spazio alle donne vittime di violenze, piuttosto che ai loro carnefici”.