Il dilemma del voto o non voto. Dibattito aperto tra i 5 Stelle. Da Buffagni alla Taverna, i big vogliono le urne subito. Ma in molti temono che così si fa il gioco del Carroccio

Da una parte i big del Movimento che invocano il ritorno alle urne. “Io sono per andare a votare. Noi lavoriamo e non al Papeete. Io credo che il voto sia la cosa da fare, tagliamo i parlamentari e andiamo a votare”, taglia corto il sottosegretario, Stefano Buffagni (nella foto), arrivando a Montecitorio per la riunione dei gruppi parlamentari M5S.

LE POSIZIONI. In perfetta sintonia con altri veterani alla seconda legislatura, da Paola Taverna a Manlio Di Stefano, fino al ministro della Giustizia, Afonso Bonafede, solo per citare alcuni nomi. Ma dopo l’intervento nel fine settimana di Beppe Grillo, che ha lanciato la crociata contro i “nuovi barbari” della Lega, mettendo sul tavolo anche un’alternativa al ritorno immediato alle urne, per il momento, tra le truppe parlamentari grilline, sembra prevalere la linea del confronto. D’altra parte, reiterando la richiesta di approvare immediatamente la riforma costituzionale che taglia i parlamentari da 945 a 600, è stato lo stesso Di Maio a ribadire che i tempi delle elezioni spetta al presidente della Repubblica indicarli. Insomma, il dibattito interno ai Cinque Stelle si riduce, di fatto, ad un unico, ma cruciale, interrogativo: andare subito al voto o no? “Un accordo con il Pd o con altre forze parlamentari farebbe il gioco di Salvini che avrebbe vita facile a impostare la campagna elettorale rinfacciandoci l’inciucio”, è il ragionamento a taccuini chiusi di chi sostiene la linea del ritorno immediato alle urne.

LE PERPLESSITA’. “Andare al voto subito significherebbe consentire a Salvini di affrontare le prossime elezioni nella situazione più vantaggiosa possibile per la Lega e, soprattutto, alle sue condizioni”, è l’obiezione di chi, invece, nel Movimento mette in guardia dai rischi di una scelta che potrebbe rivelarsi avventata. è, per esempio, la posizione del senatore Primo Di Nicola che, in un post su Facebook (e poi in un’intervista al Corriere della Sera) ha chiarito pure quale dovrebbe essere l’agenda di questo ipotetico Governo: “Taglio dei parlamentari; voto in aula per la fiducia a Giuseppe Conte, presidente del Consiglio; messa in sicurezza dei conti dello Stato per evitare gli aumenti Iva; una nuova legge elettorale proporzionale pura”, che rovinerebbe definitivamente i sogni di gloria del leader della Lega. Un passaggio indispensabile per rispondere all’avventurismo con cui Salvini, ha invocato “pieni poteri”, magari “per spaccare l’Italia con le sue folli proposte sull’autonomia regionale e quelle per sfidare l’Europa, far saltare l’Unione e portarci fuori dall’Euro”.

RISCHIO AUTOGOL. Ma c’è anche un ulteriore elemento sul tavolo che pone seri interrogativi: la questione del limite dei due mandati e quella della possibile deroga per i parlamentari alla seconda legislatura che, in base alle regole del Movimento, non potrebbero essere ricandidati. Una questione molto spinosa, come sottolinea un esponente M5S assolutamente contrario all’ipotesi: “Si sta facendo largo l’idea di mettere la questione al vaglio degli iscritti su Rousseau, ma io lo ritengo un errore – spiega -. Chi chiede, legittimamente, di andare subito al voto perché ritiene, diversamente, di esporre il Movimento all’accusa di inciucio da parte di Salvini, dovrebbe chiedersi se il superamento del limite dei due mandati non finirà per esporci all’accusa dei nostri iscritti di essere attaccati alla poltrona al pari della casta che avevamo promesso di combattere in Parlamento”. Un argomento, di certo, non di poco conto. Sul quale i vertici del Movimento farebbero bene ad interrogarsi. Magari con un’attenta analisi costi/benefici.