Il disastro degli alloggi popolari

Alloggi popolari, a Roma si bruciano 2 milioni al mese

di Angelo Perfetti

Case affittate a falsi poveri e, in molti casi, svendute a prezzi che neanche la peggior crisi economica potrebbe consentire. Affitti non pagati per due milioni di euro al mese, tanto da essere definiti una “cronicità”. Un fondo per la manutenzione praticamente insistente, riempito negli ultimi tempi dai circa 30 milioni l’anno recuperati dal mancato versamento dell’Imu per la prima casa, ma comunque una goccia nel mare delle manutenzioni necessarie a gestire un patrimonio immobiliare che per estensione è grande quanto l’intero Comune di Milano. Il direttore generale Claudio Rosi, da quando è in carica deve affrontare una situazione incancrenita negli anni, fatta di approssimazione, di privilegi, di furbetti, di inquilini per dinastia, di mascalzoni, ma anche di grandi problemi sociali e di povertà. Lui dice di metterci anima e cuore, e racconta di numeri da brivido: 50 mila appartamenti, 4.800 locali non residenziali, 17 mila tra cantine e soffitte, 15 mila garage e posti auto, 300 aree non pertinenziali. Un patrimonio immenso, che se calcolato sulla base dei parametri di mercato varrebbe oltre 10 miliardi di euro. Un impegno costante che ha iniziato a superare le criticità che da anni sono il volto oscuro dell’Ater (già Icp, prima ancora Iacp). Ma non tutti vedono questa “svolta”.

Gli inamovibili
In particolare non la vede Anna Maria Addante, Presidente dell’associazione Inquilini e Proprietari Iacp-Ater: “Sa qual è il problema più grande? – ci spiega -. Quello dei dirigenti che da anni e anni governano in totale autonomia le case, la loro assegnazione la loro gestione, la loro vendita. E nemmeno Rosi è riuscito a spostarli di incarico. La rotazione, che è alla base di ogni gestione virtuosa della cosa pubblica, all’Ater è un tabù”. E non è il solo problema “politico” di gestione: “Tutto è accentrato nelle mani di Rodolfo Mari – spiega Addante – il capo dell’Ufficio alienazioni, quell’ufficio finito nell’inchiesta della Procura di Roma sul piano vendite 2006-2007. Le pratiche degli inquilini devono arrivare lì, e spesso ci mettono un tempo lunghissimo prima di uscirne”.
Tempi lunghissimi, sembra una frase di quelle a effetto e un po’ vaghe… E allora la signora Anna Maria affonda il colpo: “L’ultimo episodio riguarda Gianluca M., che occupò un alloggio nel 1982. Nel 1987 usufruì della sanatoria, nel 2010 la sua pratica fu lavorata e ancora non ha ottenuto un contratto regolare. Nel frattempo però, vista l’impossibilità di dimostrare con le carte di avere un tetto sopra la testa, si è visto negare l’adozione di un bambino”.
Il mondo delle case popolari è anche questo: disagi, storie personali, difficoltà.

Gestione medioevale
E poi interessi: “Si è mai chiesto – prosegue la presidente dell’associazione Inquilini – perché non si è mai arrivato alla organizzazione del riscaldamento autonomo nelle case? Magari c’entra l’impossibilità di gestire gli appalti”. E la manutenzione? “Oggi funziona ancora come una volta: se conosci sei fortunato, se strilli sei un rompiscatole, se sei uno normale non sei nessuno. Fatevi un giro per la Garbatella e troverete immobili che cadono a pezzi”. E poi ci sono gli sprechi: “Da quando è arrivato Rosi, qualcosa è cambiato, soprattutto per la manutenzione del verde. Ma alle volte siamo all’assurdo: in via Namusa, ad esempio, sono stati piantati alberi che poi sono rimasti buttati lì. Senza acqua né cure. Poi la potatura va a gettone, nel senso che se conosci e chiami risolvi, altrimenti devi incrociare le dita e sperare. Una gestione medievale”.

Vendite impossibili
Nei piani di vendita contemplati dalla legge 42 del 1991 si parlava di 10.600 alloggi da vedere, ne sono stati venduti circa 5.000. E poi vengono venduti con procedure, diciamo così, strane. Mi spiego: non è che vengono mandate le lettere a un intero condominio, ma si scelgono solo alcune famiglie, col risultato di creare ad arte dei condomini misti, dove chi diventa proprietario si becca la mazzata condominiale, pagando cifre iperboliche a anche per chi resta invece a prezzi popolari. Così non c’è giustizia, e queste situazioni peraltro creano tensioni inutili.

Il mancato decentramento
“L’Ater non funziona – spiega ancora Addante – perché gli uffici di zona sono solo dei passacarte, con pochi dipendenti rispetto al territorio e pochissima autonomia gestionale. Nella cosiddetta V Zona, ad esempio, ci sono circa 15 persone per controllare gestire le pratiche e i problemi di circa 11 mila alloggi. Fanno i salti mortali, ma non possono fare di più. E comunque poi tutto si decide da un’altra parte”. Descrizione al dettaglio di problemi e responsabilità, una battaglia portata avanti senza sosta dal ’92. Sarà un caso che le hanno dato fuoco alla macchina?!

La posizione dell’Ater
“Le difficoltà ci sono – spiega Rosi – ma siamo la Ater più grande d’Italia e anche quella che funziona meglio. Abbiamo la metà del personale di Milano e il doppio delle case, quartieri centrali e periferici di Roma, eppure riusciamo a far fronte a tutto. Liberiamo 5 alloggi a settimana dagli abusivi e recuperiamo l’evasione, ma stando attenti a distinguere i mascalzoni dai poveri e dagli anziani”.

 

Milano, regno di nessuno: uno su tre non paga e le case sono espropriate

di Fabrizio Gentile

Un inquilino su tre non paga, affitti arretrati per oltre 60 milioni, circa 5 mila case vuote che non possono essere assegnate, niente soldi per le ristrutturazioni. Dai conti di Aler arrivano segnali che definire preoccupanti è un eufemismo. La convenzione attuale, “così com’è, non soddisfa le attese del Comune” né mette in condizione Aler Milano “di poter bene operare”. Ne è consapevole pure il presidente di Aler Milano, Gian Valerio Lombardi, che ha scritto al sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e per conoscenza al presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Un atto necessario, contestuale alla disdetta della Convenzione in essere. I sei mesi che separano dalla scadenza, si leggeva nella lettera di Lombardi “saranno più che sufficienti per elaborare un accordo nuovo, chiaro e in grado di soddisfare al meglio entrambe le parti”.

Un bollettino di guerra
Un vero e proprio bollettino di guerra, che vede l’azienda lombarda per l’edilizia residenziale in gravissima difficoltà. Nel 2012 l’Aler di Milano aveva accumulato 52,7 milioni di morosità sui canoni d’affitto e i servizi (riscaldamenti, pulizie), nel 2013 è andata peggio: la morosità ha toccato una somma che si aggira tra 60 e 62 milioni. Sono bollettini non pagati da circa il 30 per cento degli inquilini. E, come spiega il Corriere della Sera, mancati incassi. Il bilancio dell’Aler Milano sarà presentato alla fine del mese. Le cifre di dettaglio non sono ancora note. Ma tra il Pirellone, Palazzo Marino e gli uffici dell’azienda in viale Romagna, i conti circolano da qualche settimana. In particolare le voci più semplici, e che hanno un impatto più immediato: quelle relative al flusso di cassa.

Buco milionario
I crediti non riscossi contano un buco di circa 37 milioni per quanto riguarda gli affitti, che si allarga considerando anche circa 24 milioni per i servizi. L’altro dato che risalta è invece nel capitolo «spese». In particolare: tasse sulla casa. Perché l’Aler, nonostante sia un’azienda pubblica che ha in mano un servizio pubblico (assicurare un’abitazione ai cittadini meno abbienti), sul proprio patrimonio di case (70 mila tra città e provincia) paga Imu, Ires, Irap, più le imposte di registro per ogni contratto d’affitto che viene stipulato: il tutto vale 34 milioni. La somma delle due voci – mancate entrate per morosità e spese per le tasse – supera i 90 milioni. Soldi che, se entrassero veramente, basterebbero a risanare il bilancio annuale dell’azienda che invece si presenterà «critico» anche nel 2013. L’ex commissario Lombardi, nel frattempo diventato presidente, entro il 30 giugno presenterà alla Regione un piano di risanamento che ruoterà intorno a due punti nodali: da una parte tagli e risparmi in gran misura già applicati (tagli delle auto, dei dirigenti, delle spese per il funzionamento dell’azienda che sono state ridotte all’osso); dall’altra, la dismissione di società partecipate non strategiche, a partire dall’Asset, che è ancora una sanguisuga perché si porta dietro gli interessi sui mutui stipulati per operazioni immobiliari non redditizie.