Il dramma dei 147 migranti rivive al processo Open Arms

Ieri il fondatore della Ong Open Arms Camps ha deposto al processo di Palermo per sequestro di persona in cui è imputato Salvini.

Il dramma dei 147 migranti rivive al processo Open Arms

Non è stato un giorno come gli altri ieri all’aula bunker di Palermo per il processo Open Arms che vede imputato il ministro Matteo Salvini per i fatti relativi all’agosto del 2019, quando guidava il Viminale e la Ong spagnola con a bordo 147 migranti attese per oltre due settimane prima di potere attraccare in un porto sicuro. L’accusa è di omissione di atti d’ufficio e sequestro di persona. L’udienza era stata fissata per lo scorso 21 aprile ma gli impegni istituzionali del ministro (ora alle Infrastrutture) l’hanno fatta slittare.

Ieri il fondatore della Open Arms Camps ha deposto al processo di Palermo per sequestro di persona in cui è imputato Salvini

Non è stato un giorno qualunque perché a parlare c’era il fondatore della ong spagnola Oscar Camps. Open Arms intanto continua a essere in mare. “Per la missione numero 100 – dice Camps ai cronisti fuori dall’aula -. Continueremo a salvare vite e a denunciare le violazioni”. Ma non è un giorno normale perché da quel giorno in cui apparve disumana e grave la scelta di Matteo Salvini di lasciar bollire 147 persone alla deriva sono accaduti eventi ancor più gravi e più disumani.

C’è stata la strage di Cutro, con 94 vittime accertate e un numero impreciso di dispersi (forse 11). C’è stata l’indifferenza di Stato, c’è stata la rivittimizzazione delle vittime da parte del ministro Piantedosi, c’è stata la mancata visita alle salme della presidente del Consiglio che ha usato Cutro per un Consiglio dei ministri sventolato come spot pubblicitario. Gli impegni “improrogabili” in quel giorno in cui non s’è trovato un minuto per rendere onore alle vittime poi, abbiamo saputo, erano la festa a sorpresa per il compleanno di Matteo Salvini. Poi Cutro è diventato un decreto infame. Poi ieri in Europa s’è decieo di rendere la disumanità un affare comune.

Ma l’udienza di ieri è il ripasso di un tempo che va ricordato. Bisogna ricordare, ad esempio, che il cambio del quadro politico nel 2018 ha determinato la fine del “coordinamento tra ong e Guardia costiera italiana” che fino a quell’anno aveva permesso a Open Arms di salvare “in mare oltre 25mila persone”. Nell’udienza di ieri sono stati sentiti come testimoni Oscar Camps (fondatore di Open Arms), Inas Urrosolo Martinez De Lagos (medico a bordo della Missione 65) e Ricardo Barriuso Leoz (primo ufficiale sulla nave all’epoca dei fatti).

“Tra il 14 e il 15 agosto la nave Open Arms è entrata in acque italiane. Avevo chiamato il capitano e mi aveva detto che non potevamo entrare in acque italiane perché una unità della Guardia di finanza ce lo impediva. Io ho insistito con lui che poteva entrare, spiegando che il decreto non aveva più vigenza in quel momento e che avevano bisogno di essere accolti perché c’era cattivo tempo e la situazione a bordo era difficile: eravamo davanti a Lampedusa. Non potevamo non entrare e poi arrivò il procuratore di Agrigento Patronaggio”, ha dichiarato il fondatore di Open Arms, Oscar Camps.

Il fondatore della ong spagnola ha detto che, pur essendo a Barcellona, era in costante contatto con l’equipaggio dell’imbarcazione: “Ero al corrente delle operazioni e attraverso mail e comunicazioni informavamo le autorità di Spagna, Libia, Malta, Italia. Avevo contatti più frequenti con il capitano e il capo missione”.

Il primo soccorso è stato l’1 agosto 2019 alle 4 del pomeriggio, 55 persone, 19 uomini, 16 donne e 20 minori, con due neonati e due donne in gravidanza. “Abbiamo ricevuto poi il decreto dell’autorità di Roma che ci vietava il nostro ingresso in acque italiane. Da Barcellona sono andato a Roma il 4 agosto per vedere il team legale e dare incarico di opporsi”.

Il 7 agosto ha un incontro con l’ambasciatore tedesco a Madrid: “Abbiamo parlato e gli ho consegnato una richiesta per Angela Merkel nella quale chiedevo un intervento della Commissione europea per favorire la collaborazione e parlare dell’atto che impediva di entrare in un Paese europeo che non ritenevamo giusto né legale. L’ambasciatore ha fatto avere la richiesta alla signora Merkel che ci ha risposto che stava lavorano su questo argomento e che sarebbero intervenuti nella riunione del Parlamento europeo”.

Per il team legale “si poteva attendere una risposta positiva e attendevamo che l’Ue si determinasse a rimuovere quel decreto”. La situazione a bordo? “Le condizioni mediche erano difficili, la situazione dei bagni terribile, mancava acqua dolce e con le malattie la convivenza era difficile, più di cento le persone a bordo, con tutte le donne che erano state violentate in Libia. Molte persone si erano lanciate in acqua, diverse avevano tentato il suicidio. Tante le evacuazioni mediche per questioni psichiatriche e psicologiche”, dice.

Il primo soccorso è stato nel pomeriggio dell’1 agosto 2019: 55 persone, 19 uomini, 16 donne e 20 minori, con due neonati e due donne in gravidanza. Nel mattino del 2 agosto, 43 uomini, 16 donne e 10 minori, una donna incinta. Il 10 agosto “è stata soccorsa l’imbarcazione con 39 persone su richiesta dell’autorità di Malta dopo tanto tempo. Viene effettuato il salvataggio e Malta doveva mandare una imbarcazione per prendere queste persone, ma servivano più di sette ore e le condizioni erano pericolose, la responsabilità era del capitano: mi ha chiamato per consultarmi e li ha fatti salire a bordo. Le autorità di Malta ci hanno poi informato che potevano accogliere solo 39 persone, ma in quel momento la situazione a bordo era molto tesa”.