Il flop del Titolo V. Una riforma nata male e finita pure peggio. In 18 anni ha generato un contenzioso mastodontico. Ma ha dato il peggio di sé nel disastro innescato dal Covid

Mentre è in corso una vera e propria guerra tra Stato e Regioni sulle rispettive competenze in ordine alle misure restrittive per contrastare la pandemia di Covid-19, torna alla ribalta la discussa riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione. Voluta dal Centrosinistra per arginare la spinta federalista della Lega e approvata con referendum nel 2001, con un sì schiacciante del 64 per cento, riconosce le autonomie locali quali enti esponenziali preesistenti alla formazione della Repubblica e stabilisce quali materie siano di competenza dello Stato, quali delle Regioni e soprattutto quali materie rientrino nella cosiddetta competenza concorrente, ovvero condivisa da entrambi.

Proprio su quest’ultimo aspetto si concentrano i 1.804 ricorsi, 2.152 sentenze di cui 1.131 di illegittimità che negli anni hanno dato vita ad un’escalation della conflittualità tra Stato e Regioni. Nella Hit dei ricorsi spiccano la Toscana (153), il Veneto (125) e la Puglia (112). In 18 anni di titolo V, la Corte Costituzionale ha avuto il suo bel da fare. Secondo la banca dati della Regione Emilia Romagna – dati aggiornati ad agosto 2019 – già nel 2002 erano stati presentati complessivamente 107 ricorsi, sia dalle Regioni contro lo Stato, sia viceversa. Una litigiosità altalenante, che ha raggiunto il suo picco nel 2012, con 193 ricorsi e il suo minimo nel 2007 (50). L’anno scorso i ricorsi sono stati 87, in diminuzione rispetto al 2017, quanto erano stati 95. Insomma, una vera e propria guerra a colpi di carte bollate.

Dopo i disastri regionali nella gestione dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Coronavirus, c’è chi, in Parlamento, pare intenzionato a rimettere mano in modo radicale alla riforma del Titolo V. Risale a qualche mese fa, infatti, un disegno di legge costituzionale a firma Paola Taverna (M5S, nella foto) che punta a riportare la Sanità nelle competenze esclusive dello Stato. Secondo la vice presidente del Senato “si impone al legislatore una seria riflessione che parta dal presupposto che le misure emergenziali siano affiancate da una improcrastinabile revisione del Servizio sanitario nazionale”. Tale revisione, però, “non può che prendere avvio da una modifica costituzionale che riporti la competenza in materia di tutela della salute in capo esclusivo allo Stato”.