È passato in sordina il decimo anniversario della morte del fondatore della P2, Licio Gelli. Eppure fu un’anima nera, un fascista di ritorno, un tumore incistato nella società.
Silvio Torretta
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Gentile lettore, forse di questi tempi, tra il genocidio a Gaza e i guerrafondai che vogliono la guerra con la Russia, abbiamo altre anime nere con cui fare i conti. Gelli, morto il 15 dicembre 2015, fu certamente un’anima nera, col suo nome stampato in quasi tutte le vicende più cupe della nostra epoca: strage di Bologna, scandalo del Banco Ambrosiano, omicidi di Michele Sindona e Roberto Calvi. Lo incontrai di persona due volte: la prima ad Arezzo dopo lo scandalo della P2, per un’intervista (all’epoca lavoravo al Tg5) che alla fine non mi concesse perché l’inviato del Tg1 minacciò fuoco e fiamme se io avessi avuto lo scoop; la seconda volta a Roma alla festa di un editore specializzato in libri su Mussolini. Ma che Gelli fosse un vero fascista, ho qualche dubbio. Non apparteneva a quel genere umano che consegue il potere perseguendo un’ideologia. Apparteneva al genere di chi organizza un’ideologia per procacciarsi il potere. Credo che delle ideologie in fondo non gli importasse nulla. Aderì al filone fascista perché era quello che gli avrebbe permesso “naturaliter” di conquistare il potere assoluto: si sognava, credo, nei panni di un Pinochet o un Francisco Franco. Fu sempre vicino alla destra, ma questa è molto variegata: va da un fascismo idealista e socialisteggiante fino a un puro disegno dittatoriale, passando per vari generi di interessi economici e reazionari. Gelli, in una parola, fu “variegato”.
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