Le Lettere

Il giorno dell’ira

La Corte dell’Onu ha ordinato a Israele di evitare un attacco a Rafah, ma per tutta risposta Israele ha bombardato i campi profughi di Rafah facendo due nuove stragi. Quando finirà questo odio?
Rita Masi
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Gentile lettrice, non finirà per i prossimi due o tre secoli. La radice è troppo profonda. Tutto cominciò negli anni ’40 del secolo scorso. I palestinesi accolsero migliaia di ebrei in fuga dal nazifascismo, ma per tutta risposta gli ebrei si organizzarono in bande armate – Haganah, Irgun e Lehi, guidate da personaggi come Begin e Ben Gurion in seguito divenuti capi di governo d’Israele – e presero a scacciare i palestinesi dalle loro terre, in ossequio alla idea sionista secondo cui Dio aveva promesso quel Paese al popolo di Abramo. Un progetto messianico che nel ’48, alla nascita di Israele, sfociò nella Nabka, “la catastrofe”, una strage di palestinesi. Almeno 750.000 fellahin (contadini) furono costretti a fuggire dai villaggi messi a ferro e fuoco. Lì iniziarono le reazioni armate dei palestinesi e dei confratelli arabi. Oggi, 76 anni più tardi, torti e lutti subiti dal popolo palestinese si sono moltiplicati in modo geometrico. Siamo di fronte alla più grande persecuzione etnico-religiosa degli ultimi due secoli. Dico questo per spiegare alle anime belle che non è vero che tutto è cominciato il 7 ottobre 2023 con l’insurrezione del ghetto di Gaza. Quello è stato un episodio della resistenza (che molti vogliono ascrivere tout court alla categoria del terrorismo), che può ben essere assimilato all’eroica rivolta del ghetto ebraico di Varsavia nel 1942, che fu definita “terrorismo” dai nazisti.

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